giovedì 16 aprile 2020

Zaira


La casa della Zaira era la prima del paese. Una grande casa di pietra con un  grande portone di legno scuro. Quando era nata, nel 1905, il nome lo aveva scelto suo padre.

Lo aveva scelto dopo aver letto un testo teatrale di Voltaire che si intitola, appunto, Zaira ed era rimasto colpito dalla trama. Suo padre si chiamava Ottavio, perchè era l'ottavo di 11 figli.

La famiglia di Ottavio era contadina e servivano braccia e quindi le famiglie erano numerose e se nasceva un maschio il capofamiglia era più contento, non per orgoglio maschile ma per necessità. 

La fantasia dei nomi come oggi ( magari dovuta alla televisione, cinema, o spettacolo) non c'era. E allora si iniziava a chiamare i figli con i nomi di santi o con i numeri.

Primo ( se era donna Primetta) Secondo, Terziglio, Quarto, Quinto/Quintiglio, Sesto e via andando.

Ottavio era stato sveglio fin da bambino e il parroco che lo aveva come chierichetto, gli insegnò a leggere e scrivere, in italiano e in latino.

La famiglia di Ottavio non se la passava bene, i raccolti erano magri ed era dura mantenere 11 figli, otto maschi e tre donne più un padre e una madre.

Avevano anche tre vacche che morirono nel giro di un mese. Allora il parroco parlò con Michele il padre di Ottavio e gli disse che poteva farlo entrare in un  collegio , senza che lui dovesse pagare nulla, e farlo studiare perchè quel ragazzo era intelligentissimo.

Michele, tra veder morire di fame un figlio e mandarlo in un collegio e magari un domani diventare prete scelse la seconda.

Il parroco accompagnò Ottavio a Firenze, dove c'era un collegio degli Scolopi. Ci misero tre giorni, un pò a piedi un pò trovando qualche passaggio dai carrettieri.

Ottavio divenne uno studente modello e per lui non si aprirono le porte di una chiesa ma divenne un notaio nella cittadina della piana.

Suo padre era morto, così come sua madre e anche due suoi fratelli più piccoli. Dei suoi fratelli e sorelle in paese non era rimasto nessuno. Chi si era sposato lontano dal paese, chi era emigrato in Argentina. 

Si sposò con una infermiera dell'ospedale e il suo lavoro gli permetteva un tenore di vita lontano dalle privazioni della sua infanzia e che la sua famiglia aveva patito per anni.

Comprò quella casa all'inizio del paese, e ne aveva un altra nella cittadina. Quando nacque Zaira sua moglie morì per delle complicazioni nel parto.

Lui  non si risposò e crebbe Zaira con infinito amore. Le insegno a leggere, scrivere a suonare il piano. Quando andò in pensione tornò al paese e andò a vivere con Zaira in quella casa che aveva comprato e rimodernato.

Alle finestre c'erano dei portafiori sempre pieni di colore, gerani, azalee. E dalle finestre si sentiva Zaira che suonava il piano.

Era gentile con tutti e, ricordandosi della miseria che anche lui aveva vissuto, aiutava, per quanto possibile chi aveva meno di lui e Zaira. E in paese tutti sapevano che, nel momento del bisogno, lui ci sarebbe sempre stato.

Nella sede del Circolo operaio iniziò a fare una scuola serale, per i cavatori e i contadini due sere a settimana.

Questi poveri cristi analfabeti, dopo una lunga giornata di lavoro, partecipavano attenti alle lezioni di Ottavio.

Aveva comprato tutto lui, la lavagna, i banchi, i quaderni, i lapis. Insegnò anche a loro a leggere e scrivere perchè gli diceva: "Solo se saprete leggere e scrivere sarete degli uomini  liberi".

Zaira invece faceva scuola alle donne due sere alla settimana quando l'aula improvvisata era libera dalle lezioni del padre.

E la domenica pomeriggio apriva la finestra del salotto dove aveva un pianoforte verticale e suonava per un'oretta. Suo padre si sedeva fumando un sigaro toscano, su una grande poltrona di vimini sotto la finestra, mentre sul prato davanti alla casa si accovacciavano donne, uomini e bambini del paese.

Le note di Chopin Bach, Mozart rimbalzavano fuori della finestra, volteggiavano sui volti scavati dalla fatica e dal sole. Si posavano, leggere, sul cuore.

E per quell'ora si dimenticavano dei loro patimenti, della vita dura di ogni giorno, della fatica di vivere.

Quando Ottavio morì serenamente nel suo letto il funerale fu un evento che per anni si ricordava in paese. "Ti ricordi il funerale del Maestro Ottavio?" "Quanti fiori!" ... "E la Zaira che suonava l'organo in chiesa? Una musica celestiale..."

Zaira non si sposò mai. Io la ricordo sempre vestita di nero, con un colletto alto, e un giro di perle. 

Capelli bianchissimi, nessun trucco, l'anello del fidanzamento di sua madre al dito e le domeniche pomeriggio che apriva la finestra del salotto, sistemava la vecchia e vuota poltrona di vimini sotto la finestra, e suonava ancora per tutto il paese.

Nota:
Nell’istituto delle Scuole Pie degli Scolopi a Firenze sono stati studenti Giovanni Pascoli, Bettino Ricasoli, Giosuè Carducci e Carlo Collodi.

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