sabato 11 aprile 2020

Il Topo


Era piccolino, non aveva fatto nemmeno il militare perché era alto appena un metro e cinquantatrè centimetri. Fatto questo che gli era valso il soprannome de "Il Topo". 


Lo chiamavano così non solo per l'altezza ma perché ricordava un topo a causa dei due incisivi sporgenti e un viso allungato con un mento leggermente a punta. 

Il suo vero nome era Reginaldo ma nessuno ce lo chiamava, nemmeno, finché era stata viva, sua madre.

Al Topo piaceva bere e non faceva distinzione tra vino, birra, alcolici. Il naso indicava il livello alcolico. Rosso era accettabile, viola era massima allerta.

Viveva di espedienti, aveva fatto di tutto, lo spazzacamino, il guardiano di vacche, l'aiuto cuoco in un ristorante della piana. E quei pochi soldi che guadagnava li spendeva tutti al bar e confidava che, finiti i soldi, gli  altri avventori gli avrebbero offerto da bere.

Quando era bello ubriaco rimaneva lucidissimo, non diventava cattivo come a volte a qualcuno succede,  anche se masticava le parole.

Al culmine dell'ubriacatura i compagni di bevute lo invitavano a fare la danza del pavone per offrirgli un altro giro. 

"O Topo se fai la danza del pavone ti pagamo un'altro giro!" e battevano i pugni sui tavoli di legno incitandolo: "Topo! Topo!"

Spostavano le sedie e i tavoli, ne lasciavano uno al centro. Poi si sedevano in circolo aspettando l'esibizione. Il Topo aiutandosi con una sedia saliva sul tavolo, si levava le scarpe, i pantaloni e poi i mutandoni.

A quel punto si infilava tra le chiappe una penna di pavone che l'oste teneva su un ripiano e iniziava a dimenarsi muovendo l'improbabile coda del pavone.

Lo spettacolo suscitava le risate e gli applausi degli avventori mentre il Topo finiva l'esibizione chinandosi a "buo punzoni" e mollava la penna di pavone.

Lì scattava l'apoteosi e il bar diventava una bolgia dantesca.

Un giorno arrivò al bar e informò i suoi compagni di bevute: "O quell'omini, domani parto e mi imbarco a Livorno su un mercantile! Farò il cuoco e girerò il mondo! E ora offritemi da bere o' sudici!"

Un suo cugino, Francè, gli aveva detto che nel mercantile su cui lavorava cercavano uno che facesse il cuoco di bordo e sapendo che lui aveva lavorato in un ristorante gli propose di imbarcarsi.

Il Topo non aveva mai visto il mare in vita sua figuriamoci se aveva navigato ma attratto dai soldi e dall'idea di girare il mondo aveva accettato.

Andò a Livorno in macchina con Francè che gli aveva preparato tutti i documenti necessari. Il mercantile era enorme e sulla banchina il Topo era piccino picciò.

Salirono la scala e si presentò al comandante, un livornese che si chiamava Enrico, un omone grosso come un armadio, con una barba nera come la pece.

"Sei il Topo?" ... la voce era baritonale... "Si" - rispose il Topo"

"Giù nella cucina c'è tutto quello che ti serve per tre giorni, quando arriviamo al Pireo andrai a fare la spesa, quindi fatti bastare la roba in cambusa per due pasti al giorno per tre giorni, hai capito?"

"Agli ordini, signor Capitano!" disse il Topo e scattò sull'attenti portandosi la mano destra alla fronte come saluto. 

Francè gli aveva detto di rivolgersi sempre con "signor Capitano" al comandante del mercantile ma non aveva parlato di saluto militare.

Il Capitano lo guardò storto e gli disse con marcato accento livornese: "Levati da 'oglioni buo di 'ulo!"

Che nel caso del Topo era adatto vista la capacità con la penna di pavone di cui il Capitano era all'oscuro.

Il mercantile che si chiamava Aronte trasportava cordami, materiale da costruzione, ferro lavorato. La sua rotta era sempre Livorno/Pireo in Grecia. Caricava a Livorno, scaricava in Grecia e al ritorno portava sopratutto legname.

Il Topo fece il suo lavoro ricevendo i complimenti dell'equipaggio e del comandante. Zuppe, pesce arrostito in coperta, verdure e finendo quasi del tutto la roba della cambusa.

Arrivarono di notte al Pireo e la mattina presto mentre il mercantile veniva scaricato il comandante chiamò il Topo. "Questi sono i soldi e la lista della spesa, scendi a terra e vai a comprare tutto, laggiù c'è un taxi di un italiano che sa dove portarti ti aspetterà e quando hai fatto ti riporta qui con la roba. Poi torna a bordo, portami il resto, che si riparte stasera alle nove."

"Agli ordini, signor Capitano" ma questa volta il Topo evitò il saluto militare. Scese e salì sul taxi. 

Il pomeriggio il mercantile fu caricato di nuovo per poi tornare a Livorno. Ma il Topo non era ancora tornato. Passano le ore e verso le 19 il Capitano chiama Francè. "Dove è finito quella caccola d'omo??"

Francè e altri due scesero a terra e iniziarono la ricerca. Trovarono il tassista che gli disse che il Topo si era fatto lasciare davanti a un locale.

Andarono verso il locale che si chiamava Kaleidos, una specie di night club nella zona più malfamata del Pireo.

Scesero gli scalini che portavano nel sotterraneo dove c'era il locale. Entrarono da una porta rossa, il locale era piccolo, un bancone a destra e a sinistra un piccolo palcoscenico. poi tavolinetti e divanetti che avevano visto tempi migliori.

Tranne il barista non c'erano avventori tranne su un divanetto, con un tavolino davanti e secchiello di champagne e alcune bottiglie vuote,  due ballerine discinte e avanti con gli anni avvinghiate a un ometto mentre, in piedi, un improbabile violinista suonava "Ciliegi rosa".

L'ometto era il Topo, in canottiera, con le mani sulle natiche delle due entreneuse avvolte in piume di struzzo.

Presero il Topo di peso e lo portarono fuori dal locale: "Ma che hai fatto??" gli urlò Francè.

Il Topo brillo e rivestito alla meglio guardò Francè barcollando "Ho trovato l'amoreee!" 

"Amore una sega! Sono due budelli!" disse Francè... "La roba da mangiare dov'è?" continuò scrolalndo il Topo per le spalle... "Non ho comprato nulla - disse il Topo - ho pagato il tassista poi ho incontrato una bella signora che mi ha portato in questo bel posto per farmi conoscere sua cugina!"

"Belle donne! - continuò il Topo - Mi hanno chiesto di offrirgli da bere.. e tu non gli avresti offerto champagne? E una bottiglia tira l'altra e ho speso tutti i soldi"

Il manrovescio di Francè fece saltare un incisivo al Topo che cadde disteso come una sogliola. "Ora glielo spieghi te al Capitano quello che hai fatto!! - gli urlò Francè - Fosse per me ti farei tornare a nuoto!"

Lo portarono a bordo, il Capitano lo fece rinchiudere in una cabina. Nel viaggio di ritorno l'equipaggio e il Capitano mangiarono, razionandolo,  quel poco che c'era. Al Topo solo acqua.

Quando arrivarono a Livorno il Capitano lo prese per un orecchio e lo portò a terra poi quattro calci ben assestati e gli urlò "Sparisci prima che t'affoghi budello di tu mà".

Il Topo sparì per davvero. Per molti mesi nessuno seppe dove fosse. Poi al bar del paese arrivò una cartolina da Barcellona con i saluti del Topo.

Si era imbarcato di nuovo su un mercantile che andava in Argentina ma questa volta come mozzo e non come cuoco. 

Di lui rimase, per sempre, solo quella cartolina nella vetrina polverosa del bar insieme a una penna di pavone.

"Ciliegi rosa a primavera come le labbra del mio amor..."