Quel sabato mattina Albino si era svegliato di cattivo umore e con un gran mal di testa. Forse perchè la sera prima aveva fatto bisboccia al bar della piazza.
Albino, contrariamente al nome, aveva capelli nerissimi e ricci e la pelle scura, era mulatto. Era un figlio della guerra e il suo vero nome era Enrico.
Sua madre si chiamava Emma e suo padre Henry, che lui non aveva mai conosciuto tranne che dai racconti di sua madre .
Henry era un afroamericano, della 92 divisione di fanteria americana, da tutti conosciuta come la Buffalo, formata da soldati di colore che insieme ai soldati Nisei, nippo-americani originari delle Hawaii, combatterono in Versilia.
La madre di Albino era sfollata nell'ottobre del 1944 con i suoi genitori, verso la piana dove c'erano già le avanguardie delle forze alleate che avevano liberato anche Viareggio insieme ai partigiani.
Erano ospitati in una casa, senza finestre e colpita da qualche colpo di mortaio, di una famiglia amica dei suoi genitori.
Una sera, davanti al camino, qualcuno raccontò di Sant'Anna di Stazzema, dell'eccidio di donne, bambini, vecchi. Emma, che all'epoca aveva 18 anni, non voleva crederci, pensava che non poteva essere vero.
Poi finita la guerra quei fatti che le sembravano fantasie ed esagerazioni divennero realtà toccata con mano. In mezza giornata vennero uccise, in quell'agosto del 1944, 560 persone di cui 130 bambini.
Una di loro era Anna Pardini, venti giorni di vita, uccisa insieme a sua madre e tre delle quattro sorelle. La vittima più piccola di quell'eccidio nazifascista.
Le giornate passavano lentamente il fronte della guerra rimase fermo sette mesi. Emma aveva fatto amicizia con Henry, un ragazzone della Georgia.
Emma era magra, per la fame, aveva capelli biondi e occhi blu, e Herny, seduto sui sacchi di sabbia davanti al Comando americano, la chiamava "Hey Blondie! Come here!" e gli faceva il gesto con la mano.
Emma camminava a testa bassa lo guardava di sottecchi e non si fermava. Ma dopo qualche giorno se lo trovò davanti. alzò la testa e vide quel viso nerissimo sul quale spiccava un sorriso di un bianco abbagliante.
Herny si frugò nella tasca, gli prese una mano gliela aprì e le mise nel palmo due tavolette di cioccolata richiudendogli le dita.
Sempre sorridendo la salutò militarmente e se ne andò.
Dopo le cioccolate, Herny iniziò a dare a Emma scatolette e altri generi alimentari. E vedersi per qualche minuto era diventato un appuntamento fisso.
Si sedevano su un muretto e Herny cercava di parlare, con scarso successo l'italiano. Emma non capiva una parola di quello che diceva Henry ma la mimica delle mani risolveva tutto.
Dopo qualche settimana Herny, libero dal servizio, le chiese, mimando, di andare a fare una passeggiata. Emma iniziava a volergli bene, non solo per i viveri che le portava ma perchè sentiva un'attrazione anche fisica per quel ragazzone dalla pelle scura.
Non potevano andare sulla spiaggia perchè c'erano campi minati, e anche nella pineta c'erano mine antiuomo. Allora Henry le propose di andare sul tetto della villa dove c'era il comando americano.
Aprirono un abbaino e salirono sul tetto, seduti a guardare quel mare e quel panorama stupendo delle Apuane dove c'erano ancora i nazifascisti.
Sul far del tramonto Emma si stringeva le braccia la petto, iniziava ad avere freddo. Herny si tolse il giubbotto con quel grande cerchio verde con il bufalo nero disegnato e glielo mise sulle spalle.
Poi rientrarono nella soffitta e lì, in piedi si scambiarono un bacio appassionato e finirono per fare l'amore in quella soffitta polverosa.
Seguirono un paio di settimane dove quando Henry era libero dal servizio si vedevano e passavano le ore a parlare, con molte difficoltà e a fare l'amore.
Herny gli aveva mostrato le foto dei suoi genitori, della sua casa in una piccola città della Georgia.
Poi gli insegnato qualche parola, come dire buongiorno, buonasera, mangiare, dormire, fare l'amore. Emma dal canto suo aveva provato a fargli imparare le stesse parole in italiano.
Lui la chiamava "Ammore" e lei arrossiva e ricambiava con un "Love" a bassa voce.
La terza settimana un pomeriggio, come al solito Emma andò davanti al comando ad aspettarlo. Ma passarono due ore e di Henry nessuna traccia.
Vide passare un soldato americano e lo fermò chiedendogli se aveva visto Herny nel suo stentato americano. Il soldato la guardò poi in un italiano di brooklin le disse "Bambina tuo Herny partito con compagnia per il Nord!"
A Emma crollò il mondo addosso. "Se tu volere io fare compagnia a te, mio nonno italiano di Benevento!" - continuò il soldato - "Tu signorina fare amore con me?"
Emma lo colpì a mano aperta e mentre il soldato raccoglieva, imprecando, il cappello caduto corse via.
Sapeva che non avrebbe mai più rivisto Herny e scoprì anche di essere incinta di lui. Nascose la cosa ai suoi ma dopo qualche mese la cosa non era più possibile per l'avanzare della gravidanza.
Suo padre l'accusò di essere una puttana, sua madre cercò di difenderla ma il padre gli disse che non l'avrebbe più voluta vedere se non avesse abortito.
"Un figlio di un negro!! - urlava suo padre - Come posso tornare al paese con una figlia puttana?"
Emma decise di tenere quel figlio, prese le poche cose che aveva, ne fece un fagotto e piangendo scappò da quella casa che non era nemmeno la sua.
Trovò ospitalità presso una famiglia anch'essa sfollata verso Torre del Lago. Quando partorì non c'erano i suoi genitori e la levatrice la aiutò come fosse sua figlia.
Decise di chiamarlo Enrico, come suo padre. Il soprannome Albino glielo avevano affibbiato i suoi compagni di scuola e così lo chiamavano tutti in paese.
Furono proprio i Nisei a sferrare l’attacco vincente nell'aprile del 1945, alle postazioni naziste al Monte Folgorito, propaggine delle Apuane, sulla Linea Gotica occidentale, il fronte che per 8 mesi divise l’Italia liberata da quella ancora occupata.
Era la Compagnia A formata dai Nisei del 100° Battaglione del 442° Regimental Combat Team e divenuto famoso per essere il reparto più decorato nella storia degli Stati Uniti d’America.
Ma di Albino continuerò a raccontarvi domani...