Chissà quanti vecchi cavatori delle Apuane o quante nonne garfagnine e versiliesi, dando loro un po' di confidenza, narrerebbero ancora volentieri storie e fole di linchetti o buffardelli. Storie, fole o leggende che dir si voglia non sono però da intendersi come narrazioni fini a se stesse.
L'area apuana, garfagnina e lucchese è sicuramente quella che vanta la più ampia gamma di leggende caratteristiche rispetto al resto della Toscana.
Un po' per la natura del territorio, qui impervio ben più che altrove e ricco di profili anche bizzarri e capaci di evocare figure fantastiche, un po' per la sua caratteristica di area di confine, aperta a influenze settentrionali come quelle apportate dai «folai» lombardi, uomini che scendevano dall'Appennino per lavorare a giornata e che alla sera incantavano con i loro racconti intere famiglie riunite a veglia presso un casolare.
Ma c'è anche un altro, più atavico aspetto da non dimenticare: l'origine celtica dei Liguri Apuani, progenitori dei popoli di questi monti. È per questo, probabilmente, che qui si trovano storie frequenti nell'arco alpino ma sconosciute nell'area peninsulare, come quelle di Cigno e Cupavo, dell'Uomo selvatico o della Caccia selvaggia, vicende di tesori nascosti o figure come, appunto, i linchetti e i buffardelli o baffardelli, folletti ignoti in altre aree della nostra regione.
Non meno importante è il filone religioso, presente con le figure di santi leggendari ma veneratissimi dalla popolazione locale (Viano e Doroteo nel versante apuano, Pellegrino su quello appenninico) o anche storicamente documentati (Guglielmo di Malavalle), nonché con la Madonna, Gesù o l'intera Sacra Famiglia, come nel caso del bel racconto che fa dell'Alta Versilia la meta della fuga da Erode spiegando così l'origine del Monte Forato e dei burroni del Procinto. Ancor più frequenti le leggende dove come in Maremma protagonista è il diavolo che però, grazie a Dio, non l'ha mai vinta.
Non mancano neppure struggenti storie d'amore, mai a lieto fine, nate per spiegare l'origine di monti come il Cusna, il Femminamorta e le Cime di Romecchio sull'Appennino o, nelle Apuane, il Sagro e la Brugiana, il Grondìlice, il Pisanino, il Croce e soprattutto l'impressionante profilo dell'Uomo Morto, tra la Pania della Croce e la Pania Secca. Secondo la leggenda più nota, il curioso rilievo altro non sarebbe che il profilo di un giovane pastore sacrificatosi per una pastorella di cui era innamorato.
La valenza del recupero di tutto questo patrimonio non è sarebbe solo per un'operazione di salvaguardia etnografica o antropologica. Ancora oggi il potenziale educativo delle leggende appare notevole, così come l'interesse che sono ancora capaci di suscitare nei ragazzi.
Riappropriarsene vuol dire riscoprire un'intera cultura, fatta della vita, del lavoro e delle cose di un tempo, e anche sottolinea l'autore «il grande valore della fantasia, attingendo alle proprie radici senza bisogno di ricorrere a Tolkien o Harry Potter».
Ai tempi delle "fole nel metato" come ho raccontato in un altra storia, il romanzo già si andava sostituendo almeno per gli adulti alla storia tramandata oralmente, ma la fantasia restava comunque libera di galoppare verso i mondi e i volti evocati dalla voce di chi sapeva leggere. Qualche decennio dopo, ad addormentarla del tutto ci avrebbe pensato la televisione.
Una storia vera che sa di fantastico: Robè e la luna di Piastrola
Per il vecchio Robè lo spettacolo del sole che al mattino sorgeva all'interno dell'arco naturale del Monte Forato non era certo un mistero. Dalla sua casa di Piastrola, sopra il paese di Pruno, aveva potuto ammirarlo più volte, in certi giorni di maggio e luglio.
Quella cima così particolare con il gran foro nel mezzo gli stava proprio davanti, al centro di una meravigliosa corona di monti culminante, verso nord, con la Pania della Croce.
Dopo una vita di lavoro, ora si godeva volentieri quelle albe così particolari ma anche altre mattine indugiava a lungo seguendo la traiettoria di quella palla infuocata che talvolta sembrava davvero giocare a rimpiattino con le vette, facendo capolino e poi celandosi di nuovo dietro un repentino balzo del crinale, per riapparire infine più in alto, più sfolgorante che mai.
Altrove, la storia del sole che in certi giorni passava attraverso il Monte Forato aveva piuttosto il sapore di una leggenda: qualche rara informazione sui tramonti visibili da Barga o da Fornovolasco, appena sotto la cima, e nulla più. Finché due amici non si presero la briga di svelare l'arcano, addentrandosi in complicati calcoli astronomici.
Non solo: grazie a quella moderna magia chiamata computer trovarono anche le date in cui nel foro si sarebbero affacciati la luna e altri astri, che nel cielo hanno un andamento ben più bizzarro e imprevedibile.
Così, una sera Robè vide uno di loro salire a Piastrola, armato di macchina fotografica e cavalletto, e quando seppe che era lì per fotografare la luna nell'arco lo prese per matto. Salvo restare, poi, a bocca aperta vedendo avverarsi la previsione.
Nacque subito un'amicizia e, dato che poi fu pubblicato un libro, Robè ebbe il suo doveroso posto d'onore, con tanto di foto, all'inizio del capitolo che parlava delle albe e dei tramonti. L'anno successivo il paese sottostante, Cardoso, fu devastato dalla grave alluvione che sconvolse anche il resto della valle e Fornovolasco, sull'altro versante della catena.
Erano proprio i giorni in cui tra Pruno e Piastrola, ma anche dal vicino abitato di Volegno, si sarebbe dovuto vedere il sole passare attraverso l'arco.
La solidarietà non mancò e la gente, nonostante il dramma e le numerose vittime, seppe reagire in fretta. Cardoso fu presto ricostruito e Pruno, dopo soli dodici mesi, fece tesoro della sua posizione di punto di osservazione privilegiato sul fenomeno dell'alba nell'arco dedicando da allora al solstizio d'estate una festa popolare di grande richiamo.
Così anche quest'anno, in tanti saliranno al Pianello sopra il paese per vedere il sole affacciarsi nel foro. E Robè, che da Piastrola l'avrà già ammirato un mesetto prima, ne attenderà impaziente il ritorno.