Si chiamava Tonio ma per tutti era Conchè, ombrellaio e filosofo. A chi gli chiedeva il perchè del curioso soprannome lo spiegava così.
"Un è mia il mi’ nome vero... ora te lo spiego... vedi, la bonanima de la mi’ Gemma, la mi’ moglie, quando s’avvicinava l’ora del desinà e ero torno a casa, mi chiamava.
"O To’” -le’ mi chiamava Tonio che è il mi’ nome vero- "O To’, ti faccio la polenta oggi?", e un giorno sì e quell’altro anco era sempre polenta.
Allora io rispondeo: "O Gemma, con che? e dagli oggi, e dagli domani, mi c’è rimasto il nome."
Negli anni 50/60 in cui l'economia delle famiglie povere era improntata al minimo indispensabile e gli oggetti di uso quotidiano venivano usati fino a che era possibile. Prima che arrivasse il consumismo e l'usa e getta...
Valeva per gli abiti, che venivano rattoppati fino a diventare un costume di Arlecchino, per le calze che si rammendavano, per le scarpe e gli scarponi che venivano risuolati quando necessario.
Così l'ombrello attrezzo necessario veniva conservato con cura e in caso di qualche rottura, per il vento o per l'usura veniva riparato dall'ombrellaio.
Conchè era uno di questi, abitava in paese ma girava tutti i paesini della montagna, a piedi e specialmente nei mesi più piovosi con una cassetta di legno a tracolla e qualche ombrello legato ad essa.
Arrivava nella piazza di ogni paese, con il suo ombrello di cerata verde, un grande mantello nero e gridava "C'è Conchè portate gli ombrelli!" E arrivavano i clienti con gli ombrelli da riparare. Un ombrello nuovo era una spesa che non si potevano permettere.
Quando l'ombrello era impossibile da riparare Conchè ne offriva uno che aveva ricostruito da vari pezzi di altri ombrelli. In cambio prendeva l'ombrello ormai da buttare da cui, appunto, recuperava le parti che era possibile usare e non voleva altro.
La spesa per aggiustare l'ombrello era di pochi soldi, ma il più delle volte c'era una specie di baratto. Conchè aggiustava l'ombrello e magari gli davano qualche uovo, un pane appena sfornato, un sacchetto di farina di castagne.
Conchè apriva la cassetta, tirava fuori gli attrezzi del mestiere pinze, filo di ferro, stecche pezzi di tela cerata, ago da materassi e spago.
Usava la cassetta come sgabello e iniziava il suo lavoro. i ragazzini si mettevano seduti in circolo a guardarlo mentre raddrizzava stecche piegate, o cuciva una toppa per coprire un buco nell'ombrello.
Mentre lavorava gli raccontava le sue filosofie sulla vita : "Non vi regaleranno mai niente, quello che avrete lo guadagnerete con il vostro sudore. E anche se avrete palazzi e gioielli ricordatevi che il vostro tesoro più grande è il tempo, non fatevelo rubare da nessuno!"
"Non ascoltate chi vi parla di Paradiso. In cielo non c'è nessun Paradiso. Il cielo è delle nuvole, del vento, degli uccelli. E quando moriamo diventiamo quello che eravamo, polvere."
Quelle parole colpivano quei ragazzini poveri, con poca istruzione. Rimaneva lì a bocca aperta ad aspettare un'altra esternazione del buon Conchè.
"Ascoltate sempre i vostri genitori. Quello che vi dicono è solo per il vostro bene. Loro vi hanno messo al mondo e quando saranno vecchi toccherà a voi avere cura di loro come loro ne hanno avuta di voi"
Finite le riparazioni, rimetteva gli attrezzi nella cassetta, e si avviava verso un nuovo paese salutando i ragazzini da lontano con la mano.
E mentre camminava continuava, a voce alta, nelle sue riflessioni come se fosse ancora davanti a quei ragazzini.
"Ogni cosa si può aggiustare, come faccio io con gli ombrelli. Ricordatevi che per aggiustare le cose brutte della vita il miglior attrezzo è l'amore, quello per i vostri cari ma sopratutto l'amore per voi stessi."