giovedì 2 aprile 2020

Da Beppino


Il paese aveva due circoli in piazza dov'era anche il bar, due alimentari, un bar tabacchino che vendeva anche bombole di gas e giornali, un forno.


Quello preferito da noi adolescenti era il bar tabacchi da Beppino, lontano dalla piazza perché, oltre ad avere il telefono pubblico,  era dotato di spazio all'aperto coperto da un pergolato, un jukebox, flipper e calcio balilla.

I pomeriggi dopo la scuola il ritrovo della nostra compagnia di amici e amiche era quello. Partite interminabili a calcio balilla, mentre la colonna sonora era il jukebox che suonava gli ultimi successi. 

Il calcio balilla andava, all'epoca, con 100 lire per una partita. Mettevi la moneta, tiravi una manopola e le palline cadevano. Ma per risparmiare noi tiravamo la manopola e mettevamo altre cento lire come ostacolo alla manopola così che il cassetto delle palline rimanesse aperto.

Il flipper era il regno dei più grandicelli. Sul fianco, scritti a penna c'erano il nome e il punteggio ottenuto e chi giocava cercava sempre di fare il record evitando il malefico tilt.

Dei giocatori abituali uno in particolare me lo ricordo bene. Un giubbetto di jeans scolorito, capelli lunghi, stivaletti con tacco e sigaretta perennemente tra le labbra. Noi lo chiamavamo Tiraemolla come il personaggio del fumetto.

Muoveva il bacino, piccoli scatti dell'anca, con il flipper che mandava suoni di campanella a raffica, luci psichedeliche e i numeri che scorrevano veloci.

E il record per qualche giorno almeno era suo.  

Il bar non era molto grande, una sala davanti dove c'era il bancone e la tv e una saletta interna, piena di fumo, dove i pensionati a tutte le ore, giocavano "il fiasco". 

Alle pareti c'erano dei poster pubblicitari, Vecchia Romagna, Punt e Mes. Iniziavano la partita, a briscola, scopa o tresette con un fisco di vino sul tavolo e quattro bicchieri e chi perdeva, pagava il fiasco.

Le litanie laiche piene di santi, cristi e madonne erano un florilegio di inventiva. 

"D... travicello!! Dovevi giocare il sette!"
"Mad... ventilata!! Eri te che avevi il carico da 11!!"

Qualche volta il gestore organizzava un torneo di briscola e metteva in palio ricchi premi. Due prosciutti, due damigiane di vino, polli, niente soldi ma generi di conforto.

Al torneo partecipavano anche da altri paesi e quindi diventava una sfida nella sfida, campanile contro campanile.

Tra sfottò e le solite imprecazioni il torneo finiva comunque con un tasso alcolico degno di una mongolfiera e non di un palloncino.

Uno dei personaggi più particolari che frequentavano il bar era un ometto sui settant'anni, vedovo, piccolo di statura sempre con una papalina blu sulla testa.

Lo chiamavano "MestolaSanta" perché aveva fatto il muratore fino alla pensione ed era famoso per costruire camini che non facevano un filo di fumo.

Ma quando li costruiva non voleva nessuno intorno, perché diceva che gli avrebbero copiato il modo di costruirlo.

Mestola Santa arrivava al bar già la mattina si sedeva  a un tavolo in un angolo, ordinava un corretto al rum, accendeva una Nazionale senza filtro e leggeva il giornale, di solito messo a disposizione dal titolare del bar insieme a uno sportivo. 

Leggeva tutto, anche gli annunci mortuari. Poi scommetteva una bevuta con gli altri avventori che avrebbero dovuto fargli delle domande su quello che c'era scritto sul giornale quel giorno.

La sfida partiva, uno prendeva il giornale e cercava una notizia. "Il titolo della notizia che c'è in alto a destra a pagina 5?" e Mestola Santa rispondeva con esattezza "Costituita a Milano la Consob".

La Consob... che manco sapeva cose fosse.

Altra domanda: "Il terzo annuncio mortuario nella colonna a sinistra che dice?" e Mestola Santa faceva un tiro di sigaretta, un anello di fumo e poi: "Il giorno 5 Giugno 1974 si è spento dopo lunga malattia, Filippo Mancini. Ne danno il triste annuncio la moglie e la figlia. Le esequie verranno celebrate il giorno 7 Giugno febbraio presso la Chiesa di S. Rita"

Tutti speravano che Mestola Santa sbagliasse almeno una volta ma nulla, le indovinava tutte, aveva una memoria fotografica. Andava a mangiare a casa poi tornava al bar e rimaneva fino alla chiusura.

Il sabato pomeriggio il bar era affollato dai giocatori della schedina del Totocalcio, con l'illusione di fare tredici e sistemarsi per la vita.

Quindi discussioni se mettere uno, due o x. Commenti sullo stato di forma di giocatori e su quello che sarebbe stato l'arbitro. La domenica pomeriggio il bar accendeva la radio e tutti seduti ai tavoli a seguire con trepidazione i risultati tra imprecazioni e urla di gioia a secondo dei gol.

Ricordo solo una volta che un tale che si chiamava Arturo fece 12 perdendo il 13 quasi all'ultimo minuto, per un gol di un giocatore di non so quale partita, 
che segnò il pareggio. 

Arturo con la schedina in mano saltellava imprecando contro il mascalzone che l'aveva privato della vincita sognata: "Quel bigoncio! Propio oggi doveva segnà?? Gli si poteva troncà una gamba??" e via dicendo.

Altri cercavano di calmarlo dicendogli che in fondo aveva fatto dodici e quindi di aspettare che magari aveva vinto molti soldi.

La sera tutti davanti alla televisione del bar a seguire la Domenica sportiva e conoscere quanti erano i tredici e quanti i dodici e quanti  soldi avrebbe vinto Arturo.

Alla fine c'era un solo tredici e tantissimi dodici e quindi la quota per Arturo non era molto alta ma erano pur sempre 25mila lire dell'epoca, 1975, quando la paga di un operaio era sulle 150mila lire.

Sconsolato Arturo pagò da bere ai paesani e giurò di non giocare più la schedina. Ma l'idea di vincere e fare tredici non lo abbandò e continuò a giocare ogni settimana.