mercoledì 8 aprile 2020

Da stelle a stelle


Fu Michelangelo Buonarroti ad aprire la prima cava nell'Altissimo per prendere il marmo per decorare la facciata della chiesa di San Lorenzo.
 
Ma dopo alcuni anni di lavoro Leone X lo sollevò dall’incarico di decorare la facciata di San Lorenzo. I lavori vennero interrotti e la chiesa è rimasta ancora oggi senza facciata.

Perchè lo mandarono sul versante versiliese? Perchè i Medici volevano penalizzare Carrara dove non avevano giurisdizione. 

Nonostante le leggende Michelangelo pur avendo trovato il marmo statuario nella cava da lui aperta che si chiama ancora Vincarella non ha mai scolpito una scultura con il marmo dell'Altissimo.

Quella cava fu abbandonata per secoli poi nei primi dell'ottocento Jean Baptiste Henraux, un belga giunto in Italia come ufficiale delle truppe napoleoniche, aveva ricoperto incarichi a Carrara inerenti alla confisca dei marmi come il pagamento dei tributi imposti dai conquistatori. La caduta di Napoleone non mutò il suo destino.

Henraux si stabilì a Seravezza nel 1821 e si deve a lui la ripresa dell'estrazione marmifera nell'Altissimo e nelle Cervaiole. La ditta che porta il suo nome è attiva ancora oggi.

Mio nonno quando era tornato a casa dal fronte della Grande Guerra dopo qualche mese aveva ripreso il lavoro sulle cave dove aveva iniziato a lavorare quando aveva 9 anni. 

Da quelle cave, il bacino dell'Altissimo e delle Cervaiole, estraevano il marmo che abbelliva chiese e palazzi in Italia e all'estero. E forse veniva anche usato per qualche lapide o monumento in ricordo dei caduti di quella guerra che aveva combattuto anche lui.

Ha lavorato su quei monti e quelle cave per 54 anni, ininterrottamente. La mattina si alzavano verso le 5, accudivano gli animali, e con un piccolo zaino in spalla in cui c'era un pò di polenta, un pezzo di formaggio, qualche castagna bollita, salivano verso il monte.

Un'ora e mezzo di cammino la mattina e la sera per tornare a casa dopo una giornata in cava, sotto il sole d'estate che rifletteva il candore del marmo o sferzati dal vento e dalla neve nei mesi d'inverno . Da stelle a stelle.

A turno qualcuno rimaneva a fare la notte per non fermare il lavoro. Era come in trincea, fango, pioggia, neve, sole cocente. E anche lì si moriva sul lavoro, come oggi.

E quando dai paesi sentivano, in alto, sul monte il suono della buccina sapevano che la morte aveva colpito uno di quelle piccole comunità. 

E le donne salivano verso il monte sperando che non fosse toccato a uno dei loro cari mentre gli uomini scendevano lenti con il morto su una barella improvvisata.

Mio nonno, per sua fortuna, non ha mai avuto incidenti sul lavoro. Portava sempre con se un'immaginetta della Madonna di Montenero a cui lui e mia nonna erano devoti. 

Quando che quando hanno fatto 50 anni di matrimonio siamo andati tutti insieme, loro due, i figli, nipoti e pronipoti a Montenero a festeggiare e ci portarono due cuori d'argento come ex voto.

Una volta, fino alla fine degli anni settanta, il taglio del marmo avveniva con il filo elicoidale di circa 5 millimetri di diametro ottenuto grazie all'intreccio di 3 fili di acciaio avvolti ad elica. 

Dove lavorava mio nonno, e poi mio padre, c'era una cabina dove erano collocati i motori che permetteva al filo di girare.

Venivano posizionati dei rinvii lungo il percorso che faceva il filo , con delle ruote di ferro cave sul bordo dove all'interno  scorreva il filo. Poi il filo arrivava nel punto del taglio del monte. 

Il taglio avveniva in verticale o orizzontale e i tagli variavano di lunghezza  a volte una ventina di metri a volte anche cinquanta.

Dipendeva da come si presentava il monte e dai vari ostacoli. se necessario, dopo avere individuato la vena del marmo, si procedeva a minare, e avendo fatto dei buchi nel monte, con polvere nera o candelotti di dinamite. 

Le chiamavano "varate" nel senso che era come il varo di una nave. e prima di girare la chiavetta del detonatore o accendere la miccia sul monte e nellla valle risuonava il richiamo a mettersi al sicuro: "Alla minaaa!! Alla minaaaa!".

Le mine scoppiavano con un boato e tra la polvere i pezzi di sasso e di marmo rotolavano nei ravaneti. Li recuperavano alcune ditte che le vendevano come riempimento stradale o per fare ghiaino da giardino.

Poi intervenivano i "tecchiaioli" che legati in vita da una robusta corda, ben legata in alto  e armati di un corto palo di ferro con un anello, legato anch'esso alla cintura per non perderlo ripulivano il fronte di cava per impedire che qualche sasso smosso cadesse addosso ai cavatori durante il lavoro di taglio.

Li ho visti all'opera, appesi nel vuoto, dandosi spinte con i piedi nelle pareti dondolando da una parte all'altra e smuovendo i sassi pericolosi. 

Era un balletto nel silenzio del monte interrotto solo dall'eco dei sassi che rotolavano a valle. 

Nello stesso modo una ruspa puliva il più possibile il piazzale dal mucchi di detriti della mina.

Però la ruspa era già modernità, pensate a quando tutto questo avveniva solo con la forza delle braccia...

Per tagliare il marmo il filo funzionava per abrasione. All'entrata, nel senso della corsa del filo, era posizionata una gomma che portava una miscela di acqua e sabbia silicea. 

Il filo entrava e per la forma dei tre fili a elica si portava dietro la miscela di acqua e sabbia e la velocità produceva il taglio.

Sul punto più alto delle cave era posizionato un silos dove veniva miscelata l'acqua e la sabbia, portata dai camion dal Lago di Massaciuccoli. 

Al fondo del silos c'erano una serie di rubinetti da cui partiva una gomma ognuno dei quali era numerato per identificare qual era il taglio e in quale cava. 

La lunghezza del filo variava dai 2 ai 3 km perchè così il filo aveva il tempo di raffreddarsi. e non rischiare di spezzarsi per il calore dovuto all'abrasione
Il filo era montato all'entrata e all'uscita su dei montanti con la ruota sulla quale scorreva e una manovella con una vite senza fine che permetteva di abbassare il taglio del filo. 

Ma si diveva prestare attenzione massima perchè se il filo veniva abbassato in maniera difforme tra l'entrata e l'uscita rischiava di formare un arco e, per la tensione, strapparsi.

E questo voleva dire recuperare il filo, andando nel bosco e nei punti dove erano i rinvii, trovare il punto in cui si era rotto e se era il caso ripararlo aprendo i tre fili da un capo all'altro e riavvolgendoli limando con un triangolo. Poi rimetterlo in tensione e ripartire con il taglio.

Fino agli anni 50 il tempo perso a recuperare e riaggiustare il filo non veniva pagato perchè il direttore delle cave ( sempre in giacca e cravatta) riteneva che quello era un danno alla ditta e era dovuto a negligenza così la paga già misera diventata ancora più misera. Poi dopo alcuni scioperi i cavatori riuscirono a avere le 8 ore pagate per intero.

Quando il taglio orizzontale e verticale era finito si toglieva il filo e venivano infilati dei cunei di legno nella fessura superiore. Poi venivano bagnati con l'acqua e battuti cn una mazza di ferro e si continuava così, cunei acqua e martello. 

Il legno si allargava con l'acqua e mano a mano la  grande fetta di marmo iniziava a cadere in avanti.
Sul davanti era stato preparato un letto di terra e scagli di marmo per attutire il più possibile la caduta e far si che il marmo non si spezzasse troppo.

Caduta la fetta si procedeva a ridurla in blocchi sempre con il filo, o  con trancie ( dei grandi martelli pneumatici in serie di 4/5 con punte lunghe e diamantate). Poi venivano caricati su camion appositi e portati a valle dove c'erano le segherie che gli avrebbero trasformati in lastre per pavimenti, rivestimenti ecc.

Una volta i blocchi prima dell'avvento di camion e  strade carrabili per le cave erano fatti scendere a valle attraverso le "vie di lizza". 

Dalla cava partiva una specie di largo sentiero tutto coperto da sassi e scagli di marmo. Scendeva fino al punto dove i blocchi sarebbero stati caricati su dei carri trainati da buoi. Ma il percorso era pericolosissimo, costeggiava i fianchi del monte e i precipizi.

Non erano blocchi grandissimi e prima di essere pronti per la lizza venivano riquadrati a colpi di mazzetta e subbia dai cavatori per comodità di carico. Ma della lizza vi racconterò un'altra volta.

Lavorare il marmo era diventato il mestiere principale in paese subito dopo la seconda guerra mondiale. l'80% degli uomini del paese lavorava alle cave il resto erano pesone anziane o chi continuava a fare il carbone.

Era un mestiere durissimo, che aveva il rispetto della montagna perchè conoscevano la sua bellezza ma anche la sua pericolosità. La produzione era contenuta per ragioni di lentezza del lavoro che aveva tempi non rapidi. 

Poi è arrivata la rivoluzione dei tagli com macchine sempre più potenti, delle specie di grandi motoseghe,  con il filo diamantato.

E le montagne sono state violentate, depredate in nome del profitto modificando panorami e modi di lavoro. Gli incidenti mortali sono aumentati con il cambiamento e il lavoro del cavatore è anche oggi pericoloso.

Da stelle a stelle: sui muri, di pietra come le Apuane, delle case, rimbalzavano gli echi dei nomi degli uomini delle cave che si rincorrevano di porta in porta: «o Domé, o Pié, o Francé», prima che l’ultima stella scomparisse nella prima luce del giorno...