mercoledì 15 aprile 2020

Siam venuti a cantar Maggio


Vi avevo accennato della tradizione del "cantar maggio" o del "Calendimaggio". Diffusa, almeno qui in Toscana, in Garfagnana, Lunigiana, Alta versilia e nelle zone maremmane.

Era legata all'arrivo della buona stagione e caratterizzata dalla peregrinazione «canora» tra un'aia e l'altra, di casa in casa,  in cambio dell'offerta di generi alimentari e di qualche bicchiere di vino. 

Il Canto del Maggio ha radici antichissime e la sua origine deriva dai canti che i contadini facevano proprio nel mese di maggio per propiziare la fertilità del terreno ed aver così buoni raccolti. 

Nelle zone delle Apuane i protagonisti, i "maggianti" mettevano in scena delle vere e proprie rappresentazioni teatrali un pò diverse dal tradizionale pellegrinaggio di casa in casa.

All’inizio della sua pratica, in queste zone, nei canti del Maggio si assisteva alla lotta fra la primavere e l’inverno, fra la bella e la brutta stagione. 

Poi, negli anni, le reminescienze pagane hanno lasciato il posto alle rappresentazione della lotta fra il bene e il male sotto forma di duello fra turchi e cristiani, o rappresentazioni epiche come Orlando furioso, Rinaldo innamorato, Pia de’ Tolomei.

Storie tramandate di generazione in generazione, in maniera orale oppure scritte su canovacci nel tempo sempre modificati. 

Di solito il testo dell’opera originaria era solo un pretesto, perché i Maggianti lo adattavano alle loro esigenze, in parole povere lo riscrivevano secondo il loro modo di vedere le cose, ma lasciando sempre il bene come vincitore nella lotta contro il male. 

I costumi venivano inventati dai partecipanti che anche se avevano idea di come fossero i costumi dei cristiani o dei saraceni si sbizzarrivano con la fantasia.

E così si vedevano tuniche, mantelli, elmi, corazze di latta, pennacchi , spade di legno, certamente non aderenti alla realtà.

Perché è così che il povero, il popolano, il contadino si immagina dovessero essere i costumi dei nobili e dei cavalieri, sgargianti, colorati, eccessivi perchè se così non fosse stato, come si faceva a distinguere un nobile da un povero? 

Una cosa che coinvolgeva chi assisteva alle recite era il fatto che i protagonisti della vicenda ricordassero pochissime strofe della storia o addirittura nessuna. 

Ma sulla scena c'erano i suggeritori (quasi sempre due) che si muovevano tra gli attori suggerendo le battute da cantare, perché nella rappresentazione si canta, non si recita, così tutto è più umano, più sincero, più vero. 

I protagonisti erano e sono persone di paesi montani che cantano il maggio per pura passione e non hanno tempo o capacità di impararsi tutte le parti a memoria.

Ed così il suggeritore è lì ad aiutare. La rappresentazione veniva accompagnata anche da qualche strumento, una fisarmonica, un violino. Una sorta di colonna sonora ante litteram.

Il tutto si svolgeva quasi sempre nelle selve di castagni e il pubblico vi assisteva in piedi o seduto per terra o su sedie portate da casa.

Le storie narrate erano quasi sempre del filone cavalleresco e il pubblico partecipava con interesse, facendo il tifo per i buoni contro i cattivi, per i paladini contro i turchi, anche gridando o inveendo a secondo lo svolgimento della storia.

Oggi la tradizione sopravvive, come attrazione turistica in alcuni paese della Garfagnana. La società contadina si è modificata, modernizzata e ha abbandonato una certa parte della sua memoria e tradizione.

La televisione ha sostituito, nel bene e nel male, quei momenti di condivisione e di "cultura" popolare che hanno allietato la mente e il cuore di molte generazioni.


"Siam venuti a cantar Maggio..."