venerdì 17 aprile 2020

Il matto


Quando nacque sua madre non volle vederlo per quasi un anno. Lo prese sua nonna e lo diede a balia a una vicina di casa in paese che aveva partorito da poco e aveva latte in abbondanza.

Nel 1948 non c'era l'ecografia e sua madre voleva una femmina e se lo avesse saputo prima avrebbe abortito. Lo battezzarono e gli misero nome Paolo perché era nato il 29 giugno giorno in cui si festeggiava San Paolo convertito sulla via di Damasco.

La balia lo chiamava Paolino perchè era piccolo e gracile. Crescendo non cambiò molto, era gracile, magro. Suo padre era succube di sua madre, Anna, una donna egocentrica e con un piglio militaresco.

Anna, che era una bella donna, avrebbe voluto una vita diversa, gli piaceva truccarsi, vestiti alla moda, frequentare persone altolocate. Per colpa di suo padre aveva dovuto sposare quello che aveva scelto lui.

Comandava suo marito a bacchetta e molte volte lo aveva picchiato con violenza. Il pover'uomo rimaneva in silenzio, e quando era sul lavoro i compagni non gli chiedevano dove si era fatto quei lividi perchè sapevano cosa succedeva in quella casa.

Paolino era taciturno come suo padre, a una anno di vita la nonna obbligò la figlia a prendersi cura di suo figlio ma Anna non sopportava quello "sgorbio" come lo chiamava lei.

Quando la notte piangeva per il mal di pancia sua madre lo scuoteva con forza: "Dormi! Brutto sgorbio, dormi!!" e lo scaraventava nel lettino.

Suo padre zitto faceva finta di dormire e Anna gli urlava le peggio cose "Tocca tutto a me, tu sei inutile!!"

Paolino crebbe in questa casa mal sopportato da sua madre e con un padre assente. Quando sua madre iniziava a urlargli contro o a tirargli al prima cosa che aveva tra le mani lui correva in soffitta e si rintanava in una angolo le gambe strette tra le braccia e la testa china.

Sua madre non lo mandò all'asilo e quando iniziò ad andare alla scuola elementare rimaneva muto e assente. Non legava con nessun compagno di classe, anche se la maestra cercava di seguirlo più degli altri non c'era verso di appassionarlo a qualcosa.

Sedeva nell'ultimo banco, guardava fuori dalla finestra e dondolava ritmicamente il capo. La maestra non voleva parlare con la madre perchè sapeva che se gli avesse detto dei problemi del figlio Anna si sarebbe sfogata su di lui.

Ne parlò con il medico condotto che gli disse che se ne sarebbe occupato. Ma così non fu perchè Anna divenne l'amante di un ricco industriale del marmo che gli regalò una casa vicino a Forte dei Marmi.

La manteneva con generosi assegni mensili e Anna aveva finalmente la vita che desiderava. Feste, vestiti, vacanze.

Paolino era rimasto con il padre e aveva appena compiuto 20 anni. La mattina trovò suo padre sul pavimento della camera. Un infarto se l'era portato via.

A quel punto Anna fu obbligata a prendere il figlio con se. Ma proprio non voleva avere tra i piedi quello "sgorbio". Probabilmente Paolino era un ragazzo autistico ma Anna diceva che era matto e che l'unica cosa che gli serviva era un elettroshock.

Gliene fecero tre in un anno. Poi con la connivenza, pagata profumatamente dall'industriale,  di un professore in psichiatria lo fecero ricoverare a Maggiano a Lucca.

Maggiano era un ex convento di frati ma nel 1770 papa Clemente XIV sopprime l’ordine e dona il monastero all’ospedale cittadino di San Luca della Misericordia perchè lo adibisse a luogo di ricovero per malati di mente.

Paolino arrivò a Maggiano, uno dei tanti manicomi d'Italia ( così li chiamavano prima di definirli Ospedali psichiatrici) una mattina.

Anna e il suo amante lo fecero scendere dall'auto e lo consegnarono a due infermieri vestiti di bianco. e Paolino entrò all'inferno...e da dove non si usciva se non in una cassa di legno.

Maggiano era grande, c'erano stanzoni con dei letti di ferro ai quali, non di rado, venivano legati i pazienti, o i matti come li chiamavano gli infermieri e i dottori.
Spogliati dei loro vestiti e vestiti con un camicione di tela ruvida, molti senza scarpe o ciabatte.

La camicia di forza era la norma come l'elettroshock.

Altri venivano rinchiusi in piccole stanze, che erano una volta le celle dei frati, con delle piccole finestrelle in alto e lasciati lì tra escrementi e vomito.

Gli atti di violenza avvenivano spesso tra i ricoverati così come molti si procuravano ferite e traumi magari picchiando la testa con forza nel muro. La notte e i giorni erano riempiti da urla, grida dei ricoverati.

Le cure erano potenti sedativi, psicofarmaci non amore , comprensione, capacità di comprendere il disagio. Erano il mezzo più semplice, anche per pulirsi la coscienza.

Era l'annullamento della persona, dell'esser umano. In un ambiente dove l'umanità era sconosciuta.


Paolino non dava problemi, rimaneva sempre in silenzio e aveva solo quel continuo dondolio della testa con gli occhi chiusi e le mani che si strusciavano sul petto.

Maggiano era una piccola città, quasi 1.200 ricoverati più dottori, infermieri, inservienti arrivava a circa 2.000 persone.

Ma ognuno di quei pazienti era solo, con la sua malattia, con la sua anima uccisa dall'indifferenza dei parenti.


Paolino ci rimase fino al gennaio del 1979. Era entrata in vigore la legge Basaglia che imponeva la chiusura dei manicomi. Sua madre era morta due anni prima, ma lui non lo sapeva perchè mai era tornata a trovarlo.

Lo avrebbero spostato in una casa, verso Pisa, gestita da un'associazione che si occupava di recupero anche di tossicodipendenti insieme ad altri pazienti non pericolosi.

Ma a quella casa Paolino non ci arrivò mai. Lo trovarono impiccato nella cella in cui dormiva da solo con le strisce di un lenzuolo che aveva strappato con cura.

Finalmente era libero...