mercoledì 9 novembre 2022

Sporchi, tristi e straccioni

Si parla di razzismo, del ritorno del fascismo come fosse un orco che s’affaccia all’orizzonte: ma l’orco siede insieme a noi, non se n’è mai andato. L’orco è proprio dentro di noi.

Sporchi, "tristi, straccioni". Così i giornali dell'epoca definivano gli immigrati piemontesi e toscani che ogni anno venivano impiegati a cottimo per raccogliere il sale in Camargue. 


Fino a quando, il 17 agosto del 1893, al grido di "Viva l'anarchia, morte agli italiani", una folla di francesi non li inseguì per cacciarli. Perché "rubavano lavoro". Ne uccisero dieci, e ferirono centinaia.

Nell’estate del 1893 la Compagnie des Salins du Midi cominciò ad assumere lavoratori per la raccolta stagionale del sale dalle vasche di evaporazione delle saline. 

Con la disoccupazione in aumento a causa della crisi economica europea, la prospettiva di trovare lavoro stagionale attirò più persone del solito. 

Gli stagionali furono suddivisi in tre categorie: gli ardéchois (contadini, provenienti in molti casi, anche se non sempre, dal dipartimento rurale dell’Ardèche, che lasciavano i campi stagionalmente), i piémontais (italiani, provenienti da tutta l’Italia settentrionale e reclutati sul posto da caporali) e i trimards (vagabondi).

A causa delle politiche di reclutamento della Compagnie des Salins du Midi, i caporali erano costretti a formare squadre miste composte sia da francesi che da italiani. 

La mattina del 16 agosto una rissa tra lavoratori delle due comunità degenerò rapidamente in una questione d’onore. Nonostante l’intervento di un giudice di pace e della Gendarmerie nationale, la situazione peggiorò rapidamente. 

Alcuni trimards raggiunsero la città di Aigues-Mortes e diffusero la falsa notizia che gli italiani avevano ucciso alcuni concittadini; la popolazione ed i lavoratori locali rimasti disoccupati andarono quindi ad ingrossare le file dei lavoratori francesi inferociti. 


Un gruppo di italiani in città fu attaccato e si rifugiò in una panetteria, cui i francesi tentarono di dar fuoco. Il prefetto richiese l’invio di truppe intorno alle 4 del mattino del 17 agosto, ma queste giunsero in città solo alle 18, quando la strage si era già consumata.

Al mattino la situazione degenerò. I rivoltosi si diressero alle saline Peccais, dove era concentrato il maggior numero di lavoratori italiani. 

Il capitano della gendarmeria Cabley cercò di proteggere gli italiani, promettendo ai rivoltosi che avrebbe cacciato gli italiani una volta che fossero stati accompagnati alla stazione ferroviaria di Aigues-Mortes. 

Proprio durante il trasferimento alla stazione, però, gli italiani furono attaccati dai rivoltosi, che i gendarmi non riuscirono a contenere, venendo linciati, bastonati, affogati o colpiti da armi da fuoco.

Morirono 17 operai, 8 ufficiali e 400 persone furono feriti in modo più o meno grave.

La parola “linciaggio” nasce negli Stati Uniti e trae origine da un colonnello quacchero della Virginia, Charles Lynch, che riteneva di avere il diritto di impartire punizioni estreme facendo a meno della giustizia: era “la legge di Lynch”. 

La Virginia, terra che gli diede i natali, già nel 1782 regolarizzò tale pratica consentendo al colonnello e ai suoi fedelissimi la piena immunità. 

Fu proprio la non perseguibilità in sede civile e penale e la conseguente impunità a rendere il linciaggio una sorta di metodo giudiziario per folle schiumanti di rabbia. 

Nel corso del tempo mutarono gli scenari, le modalità e perfino il numero di partecipanti ai linciaggi ma un elemento non si modificò mai. 



Gli autori dei linciaggi, lungi dall’essere pazzi esaltati, macellai sanguinari, assassini perversi, uomini ai limiti della marginalità sociale erano sempre onesti e patriottici cittadini americani convinti di infliggere una dura ma necessaria punizione agli sbandati che appestavano le città e le campagne.

E la pratica non era e non è, ancora oggi, solo appannaggio degli americani.

Ma se il razzismo è qualcosa che noi italiani abbiamo subito e anche qualcosa che abbiamo praticato a nostra volta. In Libia, in Somalia e in Abissinia con comportamenti vili che ancora non abbiamo il coraggio di indagare e raccontare. 

Sfruttiamo gli immigrati come schiavi e abbiamo iniziato ad accettare panchine con punteruoli per impedire ai vagabondi di fare la bella vita.

Oppure scuole che si fanno bella pubblicità per evitare di accogliere quei “diversamente abili” che, in fondo, sono propri gli stessi “nati storti” che in Illinois nel 1926 si “accompagnavano” all’eutanasia oppure nella Svezia del 1976 si sterilizzavano.

Viviamo con rancore realtà distopiche delle quali diamo la colpa a chi è diverso: e facciamo gruppo per punirlo addossandogli colpe ancestrali.

A parole combattiamo il bullismo e le bay-gang, ma i bambini e i giovani non fanno che imitare gli adulti nello sport del secolo: si chiama, ancora, linciaggio.

Italiani, congolesi, nigeriani, cingalesi, peruviani non sognano tutti una vita migliore?

Oppure solo noi europei, abbiamo il diritto di farlo?

Ci vuole un nonnulla per ritrovarsi dall’altra parte della barricata ad essere additati come diversi. E quindi colpevoli.




"Non occorre essere diplomati in arte della navigazione per gonfiare le vele del "bene comune" con il vento, alimentato dalla paura, della fobia verso gli stranieri.

In altre parole, non è difficile trascinare coloro che soffrono di mancanza di potere al servizio di chi desidera acquisire potere su di loro. 

Basta che nella mente dei primi la ripugnante esperienza della vischiosità si associ sempre all'idea degli stranieri, per loro stessa natura vischiosi."

Zygmunt Bauman
Il disagio della postmodernità, 2000





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