lunedì 3 agosto 2020

Sant'Anna di Stazzema nel 1944

Com'era Sant'Anna in quell'estate del 1944? Cosa sta succedendo nel paesino sperduto tra i boschi delle Apuane. E' nel bel mezzo della linea gotica ancora da terminare, pieno di sfollati di ogni tipo, con i partigiani sulle alture che incalzano tedeschi e fascisti mentre gli Alleati avanzano.

La cosiddetta “guerra ai civili” da parte dei tedeschi altrove è già cominciata, ma le notizie arrivano poco e male: la popolazione non sa e non si rende conto dell’escalation di violenza che sta trasformando la zona in un teatro di scontro tale da non risparmiare niente e nessuno.
Chiedersi come fosse la comunità di Sant’Anna prima dell’Eccidio ha un senso preciso, in quanto ogni evento storico non è avulso da un contesto generale e – oltre a generare un “dopo”-  a sua volta deriva da un “prima”. Nel caso di Sant’Anna si è parlato moltissimo del “durante”, non abbastanza del “dopo” e poco del “prima”.
La popolazione stanziale di Sant’Anna è gente semplice, dedita all’agricoltura montana, alla pastorizia e al lavoro nelle vicine miniere di monte Arsiccio. Prima dell’acutizzarsi del conflitto, la vita quotidiana sembra cristallizzata nel tempo, tutto si svolge come un secolo prima o più: mezzi di sussistenza strappati alle rocce, ai castagneti, alle piccole coltivazioni familiari – di proprietà o “a contadino”. 
Diverse famiglie hanno, oltre alla casa di residenza, dei ricoveri nei terreni che coltivano, punti di riferimento per le attività agricole e gli animali. La ricchezza è possedere una mucca, oltre agli animali da cortile, e qualche pecora. Prima del 12 agosto i residenti abituali sfiorano le 400 unità, i maschi adulti in guerra non sono molti (una ventina) in quanto i minatori avevano, almeno inizialmente, l’esonero dalla leva.
I nuclei famigliari sono numerosi: nonni, genitori, figli (molto spesso tanti figli: nomi come Settima, Enio, Decimo, Ultimio lo confermano) e poi zii e zie, cugini, in un’intricata rete di parentele che sembra formare un’unica complessa famiglia dove i cognomi sono sempre gli stessi: Pardini, Bertelli, Pieri, Gamba, Bottari, Battistini e così via. Anche i bambini devono contribuire al sostentamento della famiglia, la scolarizzazione è molto modesta e le femmine sono spesso penalizzate.
Nella scuola è attrezzato un centro di primo soccorso ma non esiste strada carrozzabile: per arrivare all’ospedale di Pietrasanta (poi spostato a Valdicastello durante il conflitto) occorrono due ore a piedi di mulattiera, estate e inverno.
Nel paese non c’è elettricità, quindi nemmeno la radio, né acqua corrente. Non arrivano giornali. Le abitazioni sono composte da ambienti sovrapposti con pavimenti in legno: in genere, in basso i  ricoveri per gli animali; sopra, la cucina e sopra ancora la camera da letto, spesso unica per tutta la famiglia.
C’è la chiesa ma la comunità è troppo povera per mantenere un parroco: ne fa le veci quello della Culla, don Giuseppe Vangelisti. La bottega del paese possiede l’unico telefono e le notizie arrivano per passaparola, da chi scende a valle o sale al paese per piccoli commerci. Tuttavia Sant’Anna non è un microcosmo avulso dal suo contesto storico, infatti possiede le figure politico- istituzionali dell’epoca: il Segretario del Fascio, il Capo Frazione, il Capo Ammasso.
Parte dei santannini è fascista, per convinzione o per necessità come ovunque in Italia. Indubbiamente vivere in un posto così isolato protegge dalla brutalità politica presente nelle città, perché qui “tutti conoscevano tutti e tutti erano imparentati con tutti”e quindi ogni “sgarbo” avrebbe fatto il giro del paese e in qualche modo sarebbe stato vendicato. 
Da altre fonti sappiamo invece di un livello di conflittualità nel paese – per appartenenza politica, provenienza familiare, distinzione di classe – tale da influenzare la distribuzione territoriale e le strategie residenziali. Ma nel complesso i santannini sono giudicati “gente che lavora duramente e senza pretese ed è ugualmente felice al pari di tutti gli altri montanari”.
In sostanza, un paese con le normali conflittualità di ogni gruppo sociale, in parte mitigate dalla familiarità e dalla stretta convivenza, in parte esacerbate dal particolare momento storico.  



Tutto questo inizia a cambiare dopo l’8 settembre: i versiliesi cominciano a cercare rifugio in Alta Versilia, ma l’inverno del 1943/’44 trascorre tutto sommato tranquillo. Si sente il rombo degli aerei alleati che bombardano e il fronte si sta avvicinando ma “ci sembrava che tutto ciò facesse parte di un altro mondo, che Sant’Anna sarebbe rimasta tagliata fuori da avvenimenti così grandi e terribili" racconta uno dei sopravvissuti.
Questa sensazione, come vedremo, aveva un substrato concreto di pericolosa verità.
Nell’estate del 1944 la popolazione  a Sant’Anna è quasi quadruplicata: oltre mille sfollati provenienti prevalentemente dalla piana della Versilia ma anche da zone più lontane: i Tucci da Foligno, i Pavolini da Piombino, i Bonati e gli Scipioni da La Spezia, gli Scalero da Genova, i Cappiello da Napoli, i De Martino da Castellammare di Stabia, i Danesi da Pavia, i Ficini dall’Isola d’Elba e molti altri. 
Molti sono parenti o amici dei residenti, altri sono forestieri in cerca di rifugio. Fin dal giugno ‘40, infatti, ma soprattutto , in tutta la penisola milioni di italiani si allontanano dalle città bombardate e, più tardi, dalle zone attraversate dal fronte militare, per cercare un rifugio più sicuro.
Niente di strano che le persone arrivino da oltre Versilia (tutto sommato meno colpita dalle azioni più cruente almeno fino all’8 settembre) magari provenienti da città già bombardate nei primi anni di guerra. Per esempio, la famiglia Scalero da Genova si sposta a Forte dei Marmi dove ha una casa delle vacanze, e poi a Sant’Anna. C’erano però episodi di sfollamento in direzione opposta:
Testimonianza di Giulietta Vezzoni nei Gamberini: “Nella nostra casa di Vallecchia prima venne la Wermacht e ancora ancora si poteva stare.Avevano requisito le stanze di sopra e noi ci eravamo spostati al piano terra. Ma poi, quando arrivarono le SS le cose eccome se sono cambiate… 
Allora siamo sfollati a Solaio, in un metato, eravamo noi di famiglia (quattro persone), una coppia di coniugi e altri parenti con una bimba neonata. Abbiamo portato su un carrettino di roba, il resto lo abbiamo nascosto nelle cisterne interrate, ma è stato rubato tutto. 
Poi però lassù a Solaio cominciò ad arrivare gente strana, sconosciuta, che ci guardava male. Ci siamo spaventati e abbiamo deciso di raggiungere Cremona, dove mio cognato faceva il Capo Ammasso, anche perché non avevamo più niente da mangiare, mancava il latte per la bambina, i nostri soldi erano bloccati nelle banche chiuse. 
La mattina che scesi a Seravezza per andare dai tedeschi a chiedere il permesso di viaggio, al ponte del Pretale vidi due corpi impiccati e con orrore mi resi conto che uno dei due era Virgilio Furi, una delle persone che abitava con noi. Vomitai per giorni solo al pensiero, e la cosa più terribile fu informare la moglie. 
Si partì in fretta e furia, arrivammo alla stazione di Pietrasanta ma non c’erano treni, allora io mi misi in mezzo alla strada a urlare “Sprichst Du Deutsh?” perché stavano passando dei camion tedeschi. Uno si fermò e ci portò a La Spezia. Lì abbiamo abitato in una specie di galleria, poi dei miei amici dell’Università di Pisa ci hanno aiutato. Non abbiamo più proseguito.”  
Tornando a Sant’Anna, è impossibile sapere  con esattezza numero e provenienza di chi vi fosse riparato il 12 agosto, soprattutto considerando ciò che è avvenuto in zona non molto tempo prima, ovvero nel mese di luglio.
Il 28/29 luglio le frazioni stazzemesi ricevono l’ordine di sfollare come il resto della Versilia e gli spostamenti diventano convulsi: c’è chi si allontana e poi ritorna, i nuclei familiari si dividono, alcuni restano e altri cercano sistemazioni via via ritenute più sicure.
L’impatto fra gli abitanti di Sant’Anna e gli sfollati è all’inizio una “cosa morbida”, in quanto i primi a rifugiarsi in paese, subito dopo l’8 settembre, furono amici (es: i finanzieri ospitati dalla famiglia Pardini) o parenti che volevano allontanarsi dalle zone costiere o evitare l’arruolamento o la deportazione. Persone “conosciute”, insomma.
Il grosso degli sfollati arriva presumibilmente nella primavera del ’44 e non si ferma fino a quel terribile giorno d’agosto, quando a Sant’Anna ci sono circa 1500 persone. Alcuni gruppi famigliari sono sconosciuti ai residenti. In molti sono arrivati anche dalla vicina Farnocchia, a causa dei fatti di fine luglio, la battaglia di Montornato tra partigiani e tedeschi, e l’incendio di Farnocchia.
Testimonianza di Duilio Pieri: "I disagi che ci venivano imposti da questa nuova situazione non ci pesavano: facemmo del nostro meglio per andare incontro alle necessità di tanti nostri fratelli più sventurati di noi e ci ritenemmo ancora fortunati perché la guerra si manteneva lontana dalle nostre case”.
La coabitazione forzata  può aver creato problemi sia per l’affollamento sia per il cibo, ma si tratta di una situazione che la gente del paese deve accettare e, per amore o per forza, i santannini dividono quello che hanno: la fame e la povertà, la capacità di sopravvivere in una terra avara e un’atavica tenacia; nell’emergenza dimostrano un notevole spirito d’accoglienza. 
D’altra parte si presume che gli sfollati – non solo a Sant’Anna – condividessero o barattassero quanto avevano potuto portare con sé.
Dopo la fascia costiera e l’entroterra pedemontano, a fine luglio è arrivato anche per il comune di Stazzema l’ordine  di sfollare, valido ovviamente anche per le frazioni; ma la maggior parte delle persone è restia a muoversi. 
Tuttavia, dopo la battaglia di Monte Ornato, a Sant’Anna comincia la paura...
"E tu, tu la chiami guerra. E non sai che cos’è." 
(Fabrizio De André)