domenica 2 agosto 2020

La famiglia Tucci


Ci sono storie che fa quasi male raccontare, perché costringono a misurarci con gli abissi del disumano, ma sono spesso storie che è bene ricordare per sottrarle all’oblio, e per non dimenticare. Una di queste è la storia della famiglia Tucci. 
Foligno era il paese di origine di Antonio Tucci, un paese che il giovane aveva lasciato per seguire una promettente carriera nella marina. Il mare l’aveva da sempre attratto irresistibilmente, sebbene fosse nato in una regione senza sbocchi sull’acqua.

Era un semplice marinaio quando conobbe Bianca Prezioso, la ragazza destinata a diventare sua moglie e madre dei suoi figli.

Una famiglia numerosa, la sua, come tante all’epoca, incoraggiate dalla politica sociale del fascismo che riconosceva, dal 1928, varie esenzioni fiscali – quali la priorità nell’assegnazione di alloggi popolari e altri significativi benefici – alle famiglie con molti figli. 

La propaganda a sostegno dell’incremento demografico, del resto, era stata per anni martellante al punto che, nel dicembre del 1933, vennero addirittura premiate con una visita nella capitale le 93 madri più prolifiche d’Italia. Erano donne che vantavano dai 14 ai 19 figli viventi, che furono ricevute dal Pontefice e poi da Mussolini, che le gratificò con un premio in denaro. 

Nel corso del tempo la famiglia Tucci fu allietata dalla nascita di otto figli. Antonio,, aveva finalmente ottenuto una promozione, diventando capitano di marina. 

Sullo sfondo però correvano gli anni difficili della Seconda Guerra Mondiale, in cui il paese pativa il morso della fame e il terrore dei bombardamenti. 

Nel 1944 gli eventi si erano avvicendati in modo incalzante: il 12 gennaio era iniziata la sanguinosa battaglia di Monte Cassino, dieci giorni dopo gli Alleati erano sbarcati ad Anzio e le rappresaglie naziste contro i partigiani e i civili ormai non si contavano più.

Le stragi insanguinavano il Centro-Nord Italia, dall’eccidio di Montaldo a quello delle Fosse Ardeatine, dal Massacro dei Monti Tancia all’eccidio di Civitella di Val di Chiana.

Nel 1944 il capitano Tucci era di stanza a Livorno, ma la città costiera non gli sembrava sufficientemente sicura, e gli parve sensato spostare i suoi cari in un luogo meno pericoloso, possibilmente situato su un’altura, lontano dal fronte bellico.

La scelta ricadde infine sulla Toscana, su di un piccolo borgo dell’Alta Versilia, Sant’Anna di Stazzema, un paradiso nascosto e silenzioso, difficile da raggiungere.

La Versilia in quel periodo costituiva infatti il fronte occidentale della Linea Gotica, ed un’intera divisione di Waffen-SS, braccio militare delle SS, era dislocata in zona, sulla famosa Linea Gotica.

La famiglia di Foligno trovò alloggio in una stanzetta della parrocchia, davanti alla piazza dove, di lì a poco, si sarebbe compiuto il suo destino fatale.

L’atmosfera nel borgo, nonostante tutto, era però allegra, e i bambini fecero subito amicizia.

C’erano molti sfollati e tanti coetanei con cui giocare, provenienti da diverse parti d’Italia, dalla Lombardia alla Campania, sospinti in quel remoto lembo di Toscana dall’avanzamento del fronte bellico e dagli incessanti bombardamenti anglo-americani.

Poi sopraggiunse purtroppo l’estate, l’ultima di Sant’Anna di Stazzema.

All’alba di quel tragico 12 agosto del 1944 gran parte degli abitanti di Sant’Anna dormiva placidamente, mentre tre reparti di SS, guidati da alcuni fascisti travestiti da tedeschi, s’inerpicavano su di un sentiero ripido verso il paese ed un quarto chiudeva le vie di fuga.

Avvistati i tedeschi, pensando ad un rastrellamento finalizzato alla deportazione in Germania, quasi tutti gli uomini fuggirono nei boschi circostanti. Vecchi, donne e bambini restarono invece nel paese, sentendosi al sicuro perché ovviamente innocenti.

Ciò che accadde successivamente è stato riportato dai libri di storia, come “l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema”, nel corso del quale furono trucidate 560 persone.

La più piccina, Anna Pardini, aveva appena venti giorni, e fu sepolta in una scatola per le bambole. Fu ucciso persino un “non nato”, un piccolo estratto con violenza dal ventre della madre che aveva le doglie e che venne gettato su un tavolo, ancora legato al cordone ombelicale.

Il primo ad assistere alle raccapriccianti scene dello sterminio fu Elio Toaff, futuro rabbino capo di Roma, che diede testimonianza della strage. Era sfollato a Valdicastello, vicino a Sant'Anna e si salvò miracolosamente.

Insieme a Toaff c’erano il parroco Giuseppe Vangelisti e un’altra trentina di persone. Man mano che si avvicinavano a Sant’Anna, avvertivano l’odore acre della carne bruciata, insieme al fetore di putrefazione e di morte.

Nella piazza del paese li attendeva una visione apocalittica: una massa di cadaveri, in larga parte sfigurati, ammucchiati l’uno sull’altro, giacevano al sole, una visione resa ancora più spaventosa dall’arrivo di un uomo disperato, dagli occhi allucinati.

«Lo tenni per la giacca ma non trovai le parole per confortarlo», annotò nelle sue memorie Don Vangelisti.

Antonio non si riprese mai da quel giorno terribile in cui furono trucidati, insieme alla moglie Bianca, i figli Anna Maria di 18 anni, Luciana di 14, Eros di 13, Feliciano di 10, Maria Grazia di 8, Franca di 6, Carla di 3 e Maria, di soli 3 mesi.

Nel 1953, non potendo continuare a soffrire, si tolse infine la vita a 58 anni. Riposa oggi nel cimitero di Foligno, mentre i suoi congiunti sono sepolti nel sacrario di Col Cava, a Sant’Anna di Stazzema.


Quel giorno...

C’è una grande vallata che scende fino al mare, ricamata da castagni e ulivi. Poche case, qualche roccia bianca appuntita. Una mamma stende il bucato al sole. Il profumo di pulito si mischia a quello delle erbe selvatiche. 

Ha bisogno di un filo molto lungo per mettere ad asciugare tutti quei panni: le camice di Anna Maria e Luciana, adolescenti, che ci tengono ad essere sempre a posto; i pantaloncini degli unici due maschietti, Eros e Feliciano; gli abitini di Maria Grazia, Franca e Carla; i lenzuolini della piccolissima di casa, Maria, di appena tre mesi. 

Quella bella signora di 39 anni è Bianca Prezioso, origini napoletane, la moglie di Antonio Tucci, tenente di Marina di stanza a Livorno. Pluridecorato, in cuor suo, dopo aver conosciuto la Grande Guerra, aveva sperato di non dover rivivere qualcosa di simile. 

Si sbagliava.

Lasciata Livorno, bersagliata dai bombardamenti, sfollano in un posto tra le montagne della Versilia apparentemente al riparo dalle rotte di eserciti e aviazione: Sant’Anna di Stazzema. 

Proprio Sant’Anna, protettrice delle mamme e delle partorienti. Bianca ogni giorno le rivolge, in silenzio, una preghiera. 

Sant’Anna, poco più di 600 metri di altezza nelle Alpi Apuane. C’è un’unica strada per arrivarci: tante curve e nuvole di polvere. La chiesa, pochi casali sparsi, il bosco. 

Gli abitanti sono 340, ma nell’estate del 1944 il numero arriva a duemila con i tanti sfollati di guerra che cercano riparo. Alcuni dei Tucci si sistemano nella canonica, i più grandi nelle aule della scuola. 

Feliciano, Eros e Franca, trovano a Sant’Anna altri bambini, in particolare Enrico Pieri, “Poldina” Bartolucci e Enio Mancini, più o meno della loro stessa età. Anna Maria, Luciana e Maria Grazia conoscono Cesira Pardini, coetanea. La prima domenica dei Tucci inizia con la messa. 

A Sant’Anna non c’è un parroco, ma Don Giuseppe Vangelisti, della vicina frazione La Culla, conosce ad uno ad uno i “santannini”: per lui sono come persone di famiglia. 

San Lorenzo, notte senza stelle. 

La sera dell’11 agosto le mamme di Sant’Anna cantano la ninna nanna ai figli più piccoli. Quella precedente è stata la Notte di San Lorenzo, ma c’è poca voglia di cercare stelle cadenti. E’ come un presentimento: nessun desiderio potrà mai essere esaudito. Al mattino si spalanca un baratro senza fine. 

Si diffonde la notizia che i nazifascisti stanno salendo verso il paese. La moglie di Antonio lo convince a fuggire nei boschi. Bianca e gli otto bambini invece restano nella canonica pensando che donne e bambini non possano mai essere vittime deliberate della guerra. Invece si scatena l’inferno. 

I tedeschi urlano l’ordine di ammassarsi nella chiesa. Accatastati arredi e paglia danno fuoco a tutti e a tutto. Mostri ripugnanti a mille teste, che non risparmiano neanche i neonati. 

(Testi di Raffaella Cortese, Marco Patuccho, Giovanna Potenza)

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“Ora che ho visto che cos’è la guerra, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: ‎e dei caduti che facciamo? Perché sono morti? Io non saprei cosa rispondere. Non adesso almeno. ‎Non mi pare che gli altri lo sappiano. Poiché lo sanno unicamente i morti, soltanto per loro la guerra ‎è finita davvero”.‎ 

Cesare Pavese