giovedì 6 agosto 2020

Amos Paoli

Amos Paoli era un giovane partigiano versiliese. La sua breve vita è un grande esempio di impegno politico e civile. Amos nacque a Barga nel 1917, dove il padre si era temporaneamente trasferito per motivi di lavoro.

Amos crebbe a Riomagno (Seravezza), in una famiglia  antifascista, che, addirittura, ebbe la casa assalita dagli squadristi nel settembre 1924. 

Il padre Gino e il nonno Raffaello risposero con le armi all’attacco, aiutati dalle rispettive mogli, Luisa e Italia, tenendo loro testa per alcune ore, prima di fuggire sui monti circostanti.
Da bambino Amos, colpito da poliomielite, perse l’uso delle gambe e fu costretto a muoversi con le stampelle e con una carrozzella, tuttavia, grazie al carattere forte e socievole, prendeva parte attiva alla vita del paese. 

Suonava la chitarra e il mandolino, aveva molti amici ed era benvoluto da tutti. Apprese il mestiere di calzolaio, poi, per un paio di anni, gestì persino una segheria di marmo, ma, su pressione della famiglia, tornò alla prima occupazione.
Durante la Resistenza, il fratello Lino era partigiano a Firenze, dove fu gravemente ferito e catturato dai tedeschi, rimanendo nelle loro mani fino alla liberazione della città, Amos, il padre e il fratello adolescente Solitario militavano nella formazione “Bandelloni”.  

Amos svolgeva compiti di staffetta, muovendosi con la sua carrozzella, sotto il cui sedile riponeva armi, messaggi e documenti, che poi nascondeva in casa, dove, di notte, i compagni scendevano a ritirarle. 

La sua condizione fisica non destava sospetti e, spesso, si intratteneva a parlare con i soldati tedeschi durante il controllo ai posti di blocco.
Nella notte del 25 di giugno 1944, però, per la denuncia di un delatore, le SS fecero irruzione nella sua casa di Riomagno, dove con lui si trovavano la madre, il fratello, la sorellina Solidea, cui era particolarmente affezionato, e un amico, Luigi Novani, ospitato per la  festa del patrono.

Dopo una brutale perquisizione, i due giovani vennero condotti via insieme ad un altro conoscente, Lorenzo Tarabella, catturato in paese, e rinchiusi nella sede del comando tedesco nella vicina Corvaia. 
Il giorno successivo furono di nuovo portati a Riomagno con automezzo e, giunti davanti alla sua casa, le SS dissero ad Amos che li avrebbero rilasciati se avesse fatto il nome dei partigiani, ma senza ottenere risposta.
I tre prigionieri furono allora condotti  a Compignano (Massarosa), sul monte Quiesa,  in una villa che ospitava un comando tedesco, dove subirono percosse e pressanti interrogatori. 

Amos ammise di appartenere alla Resistenza, scagionando i suoi due amici da ogni responsabilità, che così scamparono alla morte, ma continuò a tacere i nomi dei partigiani e la loro dislocazione.
Venne trucidato la mattina del 27 e così Novani ricorda gli ultimi momenti di vita di Amos:
Il 26 giugno ci fecero montare di nuovo sopra un camion, non più seduti come prima, ma in ginocchio. Il povero Amos era paralizzato alle gambe e non poteva stare in ginocchio. 

Noi allora lo mettemmo con un braccio al collo fra me e Lorenzo e così si reggeva. Il camion partì e ci condussero verso il monte Quiesa, a Compignano (circa 25 chilometri da Seravezza), dove c’era una villa in cui era alloggiato il comando delle SS.
Una volta arrivati molti soldati domandavano chi eravamo.“Partisan”. Ci misero al muro con le braccia alzate. Un po’ resistemmo, ma poi i nostri muscoli non ressero e allora quelle canaglie cominciarono a darci delle botte col calcio del moschetto dietro le gambe. 

Picchiavano sodo e cademmo addosso l’uno agli altri come bestie. Ad Amos avevano tolto anche le stampelle e quando lo picchiavano dicevano:”Tu capo partigiano”Dopo tre ore di quella scena eravamo in un bozzo di sangue tutti e tre. E lì ci lasciarono al nostro destino. 
All’alba del 27 venne una delle SS con una machin-pistole in spalla, prese il povero Amos per una gamba e lo trascinò via come una bestia per una ventina di metri. 

Amos urlava :”Oddio!Oddio!” e quando vide il tedesco che caricava la pistola cominciò a strillare forte chiamando più volte la mamma.

”Mamma, mamma!” gridava mentre la SS gli piantava la pistola nel centro della fronte. 

Parti un colpo, subito seguito da una scarica, tutti sparati nella testa. Poi prese il corpo di Amos e lo gettò giù in poggio e accese una sigaretta”.
Raccolto e sepolto da alcuni contadini, il suo corpo fu traslato nel cimitero di Seravezza nel 1946. 

Nel 1978 Amos Paoli è stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:

"Partigiano operante nella formazione « Bandelloni» , pur gravemente menomato agli arti inferiori fin dall’infanzia, si adoperava con grande dedizione come staffetta per il collegamento fra formazioni partigiane operanti in Versilia. 

Su delazione fascista veniva sorpreso nella sua abitazione dove venivano rinvenuti notevoli quantitativi di armi e munizioni. 

Assumendosi personalmente ogni responsabilità scagionava gli altri compagni di lotta che riuscivano così ad avere salva la vita. 

Sottoposto ad atroci torture, nulla rivelava della formazione di appartenenza, per cui veniva trucidato facendo olocausto della sua giovane vita che concludeva al grido di: Viva la libertà, viva l’ Italia . 

Fulgido esempio di cosciente valore, di altruismo e di piena dedizione alla causa della libertà."

Seravezza Massarosa (Lucca ), 25 – 27 giugno 1944.

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"Quelle dei disabili sono vite indegne di essere vissute."
Adolf Hitler nella riunione preparatoria all'Aktion T4, nome convenzionale con cui si designa il Programma nazista di eutanasia preludio alla Shoah.