Nei giorni successivi al 12 agosto la maggior parte dei martiri di Sant'Anna furono sepolti in una fossa comune davanti alla chiesa.
Nei giorni immediatamente successivi i sopravvissuti, temendo che i nazisti potessero tornare al paese per completare l’opera di annientamento della piccola comunità, si rifugiarono nei ricoveri di fortuna offerti dagli anfratti delle montagne.
Per più di un mese, nascosti in grotte, in piccoli metati, nelle gallerie delle vicine miniere, come bestie ferite, ignari di quanto accadeva in Versilia.
Accompagnati dallo sgomento delle violenze subite, circa 180 persone sopravvissero fra gli stenti, con ortaggi raccolti durante la notte negli orti abbandonati.
Nel rapporto giornaliero del 13 agosto 1944, il comandante della 14a armata tedesca, sotto il titolo situazione delle bande scrisse:
“Alla fine delle riferite operazioni contro le bande a nord di 183/43 (era la zona di Sant'Anna)...
...fatti saltare altri 4 depositi di munizioni, distrutto un impianto di grandi cucine e centro servizio informazioni. Messo al sicuro i resti di un magazzino vestiario...
... Altri 353 civili sospetti di far parte delle bande sono stati catturati, 68 dei quali sono stati riconosciuti come appartenenti alle bande, 209 trasferiti al centro di raccolta di Lucca”.
In un comunicato successivo scrisse: “trucidati 270 banditi. Ridotto in cenere un punto di appoggio delle bande”.
Il punto di appoggio delle bande altro non era che la chiesa della piccola frazione.
I banditi erano civili inermi, come Anna Pardini 20 giorni di vita.
Nella lista dei morti di Sant’Anna si conta circa il 50% di donne, circa il 30% di bambini, solo il 10% di uomini e il 10% di vecchi.
La guerra avrebbe continuato a martoriare la Versilia e i suoi paesi fino all'aprile del 1945 con lo sfondamento della Linea Gotica.
Chi era riuscito a sfuggire alla morte quel 12 agosto non tornò a Sant'Anna che per molti mesi divenne un paese fantasma.
La lenta avanzata degli alleati faceva scoprire gli orrori compiuti dai nazifascisti. Così fu anche a Sant'Anna.
Il 2 ottobre del 1944, il brigadiere generale inglese Hounsell scrisse in merito a Sant'Anna in un comunicato inviato ai comandi alleati: “è dubbio se questo massacro sia di competenza della Commissione dei crimini di guerra, poiché la maggioranza degli abitanti del villaggio ha svolto attività partigiana ed ha trasgredito un'ordinanza germanica”.
Di fatto gli inglesi negavano che fosse stato un eccidio programmato, "assolvendo" i nazifascisti.
I fatti di quel giorno venivano raccontati dai sopravvissuti ma sembrava che non fossero mai successi, c'era una specie di omertà.
Versioni discordanti, chi dava la colpa ai nazifascisti, chi hai partigiani, chi ai santannini che non avevano obbedito all'ordine di sfollamento.
La prima indagine sulla strage di Sant’Anna fu svolta da una Commissione d’inchiesta americana nel settembre 1944.
Il 16 ottobre 1944 la Commissione trasmise il rapporto conclusivo al Quartier Generale della V Armata che, a sua volta, lo inviò a Washington, con il suggerimento di inoltrarlo al War Crime Committee ed al Governo Italiano, trattandosi di un crimine di guerra.
A due mesi di distanza dalla tragedia, gli inquirenti americani avevano raccolto elementi sufficienti a dimostrare che la strage era stata un’operazione condotta consapevolmente contro la popolazione inerme e ad individuare il reparto che l’aveva attuata.
Infine, il 10 dicembre 1946 le autorità militari americane inviarono al Governo Italiano tutta la documentazione relativa alla strage di Sant’Anna.
Sulla vicenda indagarono, dal settembre del 1946 anche la Polizia per conto della procura di Lucca, e il comandante della Stazione dei Carabinieri di Stazzema, maresciallo Alessandro Vannozzi, su mandato della Pretura di Pietrasanta.
In base alle risultanze delle indagini, la Procura Generale Militare aprì un fascicolo (n.1976) a carico di alcune SS, che dei testimoni avevano indicato come possibili partecipanti alla strage, e un altro ( n.2163) a carico di quelle individuate dalla Commissione Americana.
Fascicoli che, però, svanirono nel nulla o, meglio, all’interno del famoso “Armadio della Vergogna”, dove sono rimasti chiusi per mezzo secolo.
Nel giugno 1946, Palmiro Togliatti, Ministro della Giustizia e leader del Partito comunista, promulgò un'amnistia generale.
Che, in nome della "riconciliazione nazionale", portò rapidamente alla liberazione della maggior parte dei fascisti allora in carcere sotto condanna o in attesa di giudizio.
Su 12 mila fascisti imprigionati, 7 mila furono rimessi in libertà entro il 31 luglio 1946.
Nel luglio dell'anno successivo ne rimanevano dietro le sbarre circa duemila.
Nel 1952 ne restavano soltanto 266.
Una nuova amnistia concessa il 19 novembre 1953 estese i benefici della legge anche a quei fascisti che si erano dati alla latitanza e liberò praticamente tutti i detenuti.
L’Eccidio di S.Anna fu capo d’imputazione anche nel processo, celebrato nel 1951 presso il Tribunale Militare di Bologna, da Corte militare Italiana contro il Maggiore Walter Reder. A differenza degli altri capi d’accusa a lui imputati (Marzabotto, Bardine - S.Terenzo), per il massacro di S.Anna, Reder fu assolto per “ insufficienza di prove” con sentenza emessa il 31 ottobre 1951.
Da allora, dal 1951, la memoria dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema è caduta in una sorta di oblio. Non si seppe che fine avessero fatto le indagini giudiziarie, Gli esecutori materiali non erano stati individuati: per Sant’Anna sembrava non ci fossero colpevoli.
Commissioni investigative, prima inglesi, poi americane, infine, prima del processo di Bologna, italiane: le nuove autorità ricostituite (polizia e carabinieri) ascoltarono i superstiti, raccolsero informazioni, stilarono rapporti.
Nelle testimonianze rese vennero narrati i fatti ed identificati anche alcuni soggetti coinvolti nella strage, soprattutto collaborazionisti italiani.
Ma tutta questa documentazione probatoria sembrò sparire nel nulla.
I parenti delle vittime ed i superstiti manifestarono apertamente ed in molte sedi, come documentato da una serie di telegrammi inviati all’allora Ministero della Guerra ed alle Corti militari alleate.
Telegrammi in cui molti superstiti chiedevano di essere ascoltati come testimoni, il proprio disappunto per la quasi totale assenza delle istituzioni.
Sia per quanto riguardava il supporto materiale e psicologico ai superstiti, sia per la mancanza di risultati nelle indagini condotte.
Negli anni 50 Sant'Anna era ancora isolata: non c’era strada, non c’era telefono. Per i pochi rimasti a combattere perché si facesse giustizia, era estremamente difficile farsi ascoltare.
A Palazzo Cesi a Roma, sede della Procura Generale Militare, affluirono, dopo la Liberazione, i fascicoli relativi a centinaia di crimini compiuti dai nazifascisti, nel periodo 1943 – 1945, ai danni di vittime civili. Su quei fascicoli erano annotati i nomi delle vittime, i nomi degli assassini, le località dei crimini. Un’istruttoria per ogni fascicolo, un processo per ogni istruttoria.
Nel gennaio 1960 con un semplice timbro e una illegale scritta in burocratese, «archiviazione provvisoria», il procuratore generale militare, Enrico Santacroce, seppellì 695 fascicoli riguardanti le stragi tedesche in Italia. Tutti i procedimenti furono insabbiati e le 15.000 vittime non ebbero giustizia.
Chiusi in un armadio così fu cancellata, per quasi cinquant’anni la memoria delle vittime innocenti di Sant’Anna di Stazzema, tra cui moltissime donne e bambini, come di altre stragi nazifasciste.
Se ne sarebbero dovute occupare le Procure Militari Distrettuali, destinatarie istituzionali di quelle carte. Tutto invece rimase sepolto in quel palazzo e in quell'armadio.
Fino alla prima metà degli anni ’90, su Sant’Anna e i suoi martiri caddè il silenzio. Le motivazioni sono molte e controverse.
Sicuramente ebbero un peso decisivo questioni di diplomazia internazionale nel dopoguerra e il timore dei successivi governi di riaprire ed affrontare con trasparenza una delle pagine più buie della storia del nostro paese.
Fu la ragion di Stato ad imporre l’occultamento di quei fascicoli. La motivazione fu quella della guerra fredda.
Nel mondo suddiviso in due blocchi, la nuova Germania doveva entrare nella Nato, come baluardo contro l’avanzata sovietica.
Si preferì tacere i crimini commessi dal nazismo ed aprire una nuova pagina.
non si vollero turbare gli equilibri e le relazioni internazionali, anche perché molti ex- ufficiali nazisti facevano parte delle forze armate della Repubblica Federale.
Ma anche un altro fattore influì sulla decisione di non rendere giustizia alle vittime dei crimini nazifascisti.
Come avrebbero potuto le autorità italiane chiedere l’estradizione per gli autori degli eccidi avvenuti nel nostro paese senza accogliere quella avanzata dalla Jugoslavia, dall’Albania, dalla Grecia e da altri paesi per i militari italiani che si erano macchiati di crimini analoghi in quei territori?
Molti degli ufficiali accusati erano ancora in servizio nelle Forze Armate oppure svolgevano ruoli importanti nella vita pubblica, così per non turbare gli equilibri politici interni, si preferì negare la giustizia alle vittime delle stragi nazifasciste.
Chi era a capo del Governo negli anni in fu deciso di negare la giustizia alle vittime? Chi erano i titolari dei Ministeri competenti e i loro collaboratori? Fu legittimo il comportamento dei funzionari e dei magistrati? I dirigenti politici erano a conoscenza dell’insabbiamento dei fascicoli?
Molte domande sono ache oggi senza risposta.
Il giornalista Franco Giustolisi analizzò le motivazioni dell'occultamento indicando nella Ragione di Stato tale comportamento omissivo.
Il giornalista pubblicò il carteggio tra il ministro degli esteri Gaetano Martino e il ministro della difesa Paolo Emilio Taviani, uno dei capi della resistenza partigiana in Liguria.
Una parte della memoria negata è responsabilità diretta di alcuni esponenti della politica italiana, persone che negli anni precedenti hanno lottato per la liberazione del paese.
Viene da chiedersi perché la Ragion di Stato sia sempre superiore alla memoria delle vittime, tra cui molti bambini in età prescolare, in questo bellissimo ma assurdo bel paese.
Non racconterò del processo di La Spezia ad alcuni responsabili nazisti dell'eccidio. Chi vuole trova sul web la documentazione fino alla sentenza.
Metto solo in evidenza che molti dei macellai di Sant'Anna non sono mai stati giudicati come criminali di guerra.
Come il capitano Anton Galler, ha finito i suoi giorni in un villaggio-vacanze per agiati pensionati in Spagna, o il capitano Helmut Looss, deceduto a Brema nel 1988 dopo aver svolto l’attività d’insegnante di scuola media.
Lo stesso vale per i fascisti e i collaborazionisti italiani che grazie a coperture, amnistie non hanno mai risposto dei propri crimini davanti a una corte.
A Norimberga come a Piazzale Loreto penzolarono poche corde...
A noi rimane, come ho ripetuto in questi giorni, il dovere di ricordare e tramandare la memoria di quei giorni. Di vigilare sulle nostalgie criminali dei fascisti nostrani e non solo.
Di difendere questa povera Repubblica nata dalla Resistenza da nuove derive autoritarie e populiste.
Di onorare con un impegno quotidiano democratico e antifascista le vittime di Sant'Anna e delle altre stragi, dei partigiani che combatterono per darci la libertà.
Perchè nulla sia più come è stato:
Ora e sempre Resistenza