venerdì 21 agosto 2020

Padre perdona loro

Era un pomeriggio d'estate del 1961. Il paese sembrava quasi addormentato sotto il sole che picchiava sui tetti. 

Solo il canto delle cicale rompeva il silenzio. Nella piazza, sotto la tettoia del bar di Silvano, erano seduti a un piccolo tavolo di formica Gildo e Parà, diminutivo di Paradiso.

Erano due paesani sui settant'anni tutti e due in pensione dopo aver lavorato nelle cave per una vita. 

Gildo durante i suo lavoro alle cave aveva perso tre dita di una mano tranciate alla base da un cavo d'acciaio. Delle dita della mano  destra gli erano rimasti il pollice e il mignolo.

Gildo aveva imparato a usare la sinistra per ovviare alla sua menomazione ma la destra la usava per bere perchè diceva "La sinistra è la mana del Diavolo e il vino lù un me lo deve toccà!". 

E non era così semplice prendere un bicchiere colmo di vino con due dita ma lui ci riusciva benissimo.

Gildo era noto in paese per le sue "mattane" una volta era arrivato in piazza a cavallo del suo maiale, un'altra aveva levato i batacchi alle campane del campanile perchè diceva che suonavano meglio senza.

Paradiso, detto Parà, era scapolo e il lavoro alle cave gli aveva lasciato solo un pò di sordità aumentata negli anni e negli ultimi tempi aveva un pò di arteriosclerosi. Gildo invece si era sposato, ma aveva perso la moglie da qualche anno e non aveva figli.

Di solito rimanevano al bar quasi tutto il giorno. Un bicchiere di vino ogni tanto, una tirata di sigaro toscano, due chiacchere con gli altri avventori.

Verso le due di quel pomeriggio di agosto, Gildo e Parà erano lì appisolati sulle sedie mentre Silvano il barista, era dietro il banco a sonnecchiare. 

Così, come dall'altra parte della piazza, nel bar del Circolo operaio anche Onofrio, il socio di turno, dormiva beatamente.

A un certo punto la siesta comunitaria fu interrotta da un rumore che proveniva dall'unica strada che collegava il paese alla piana.

Un rombo che ricordava a Gildo e Parà quello degli aerei che in tempo di guerra sorvolavano il paese.

Tra una nuvola di polvere nel mezzo della piazza era arrivata una grossa moto verde scura, con il sidecar, dalla quale scese un uomo tutto vestito di pelle nera.

Si tolse il casco a scodella, gli occhialoni da aviatore, tirò giù la zip della tuta di pelle e si avviò verso Gildo e Parà.

Mezzi assonnoliti dall'afa ma sopratutto dal vino i due cercavano di capire chi poteva essere.

"Buongiorno!" disse il motociclista " Cercavo la signora Mazzuchelli". "Potta - gli disse Gildo - in paese ce n'è più di una!" ... "Ah, la signora Mazzuchelli Annita" - disse il motociclista leggendo su un foglio che aveva tra le mani.

Parà, sordo com'era, cercava di capire quello che si dicevano. Intanto era uscito dal bar Silvano svegliato dal rombo della moto. 

"L'Annita - disse Silvano - abita su, sul colletto" ... "Ci arrivo con la moto? " chiese il foresto. "No, ci deve andare a piedi, è un ventina di minuti di cammino." rispose Silvano.

Gli spiegò il percorso e il motociclista dopo aver posato casco e occhiali sulla moto si incammino sotto il sole battente, intanto Silvano ritornò al suo pisolino pomeridiano.

Gildo guardava la moto, una potente motocicletta forse americana o inglese. Aveva guidato qualche volta la moto di un amico ma non ce l'aveva mai avuta.

Gli sarebbe piaciuto provare a guidarla. "O Parà, si prova la moto?" 

"Ti voi fà una foto?" disse Parà, sordo com'era...
"No, la moto!!"... disse Gildo.

Si alzò e andò verso la moto con il sidecar. Gli girò intorno, prese il casco in mano e gli occhiali. "Dai vieni qui, tanto c'è tempo prima che ritorni"... Prese Parà per un braccio e lo fece salire nel sidecar. Parà non capiva cosa stava succedendo.

Gildo si mise il casco, gli occhiali, poi l'accese mise la marcia... Il rombo risvegliò Silvano che mentre usciva dal bar e prima di poter fare qualcosa vide i due partire a razzo in direzione della chiesa che aveva il grande portone aperto.

La moto schizzo dentro la chiesa e si sentò l'urlo di Parà: " Frenaaaaa!!! Frenaaa! Porca Mad..."

L'urlo fu interrotto da un grande frastuono. Intanto il motociclista arriva di corsa avendo sentito il rumore della moto, Silvano si precipita dentro al chiesa e vede la moto piantata nell'altare di marmo.

Nel mentre che va per vedere se i due sono ancora vivi il grande crocefisso ligneo sopra l'altare crola con un sinistro rumore di legno spezzato e frana sui due in moto.

Intanto dentro al chiesa erano arrivati Onofrio il gestore del Cro, il povero parroco, il sagrestano e il motociclista che alla vista del disastro gridava "Nooo!Nooo!".

Gildo aveva il casco di traverso e gli occhiali sul mento e sembrava morto, Parà invece si alzò dal sidecar smadonnando e sedendosi su una panca. 

Onofrio alla vista del crocifisso troncato tirò una bestemmia epica. Il parroco a ogni bestemmia si faceva il sengo della croce "Figlioli!! Siamo nella casa del Signore!!"

Silvano intanto aiutato da Onofrio toglieva il crocifisso, i candelabri, e tutti gli arredi dell'altare caduti nell'urto.

"Gildo! Gildooo!" chiamava Silvano strattonandolo. Gildo non rispondeva, lo presero lui e onofrio e lo adagiarono in mezzo alla chiesa, gli levarono casco e occhiali.

Onofrio prese il casco andò al fonte battesimale lo riempià di acqua benedetta e lo tirò in faccia Gildo. 

Intanto il prete alla vista dei danni e di Onofrio impegnato a prendere l'acqua bendetta continuava a farsi segni dellla croce mormorando: " Scrilegio... sacrilegio..."

Gildo finalmente aprì gli occhi... "Dio C... sono morto?"... Il parroco agitando le mani in aria corse verso la sagrestia.

"Purtroppo no! - gli disse Silvano - Forse era meglio!"

Il motociclista affranto era seduto accanto a Parà sulla panca della chiesa. "La mia moto, la mia moto..." ripeteva con le mani sulla testa.

Parà gli disse " Anche te ti voi fa la foto? Ma che avete oggi???"

Onofrio e Silvano intanto aiutarono ad alzarsi Gildo che tranne per un taglietto sul mento non aveva riportato danni.

"Ma sei sonato? Rubi una moto e fai tutti questi danni? Ma che t'è preso..." diceva Silvano mentre tenendolo per un bracico lo portava fuori.

"O Silvà, la moto mi garbava e la voleo provà. Ma m'è resti incastrato il migno nell'accelleratore sennò un lo tiravo giù il Cristo!"

"Quanto a tiranne giù c'è già Parà e Onofrio che han tiro giù Cristo i santi e le Madonne..." disse Silvano.

Onofrio accompagnò il motociclista nel bar e gli offrì un cognacchino.  Parà si mise sulla sedia mentre continuava  a dire "Le foto... ma che ci fanno con le foto" 

Il dopo vide l'arrivo del carrozziere dalla piana che caricato quello che rimaneva del sidecar e della moto prese a bordo anche il motociclista che, ovviamente, aveva detto a tutti che avrebbe fatto denuncia ai carabinieri e li avrebbe chiamati a testimoniare.

Gildo, seduto accanto a Parà si mise a ridere... " Silvano e Onofrio lo guardavano mentre alcuni paesani erano arrivati avendo sentito tutto quel trambusto.

"Ma dopo tutto hai anche la voglia di ridere?" gli disse Silvano... "O Silvà te un sai quello che vol dì stà su quella moto! Mi parea un sogno!"

"E quando - continuò Gido - ho messo in moto mi tremavano le chiappe e mi parea di esse un angelo in volo!"

"Ancora ti voi fa una foto?? Ma ti serve per la lapide al cimitero??"

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Un uomo è vecchio solo quando i rimpianti, in lui, superano i sogni.

(John Barrymore)