giovedì 6 agosto 2020

Le donne nella Versilia resistente

Una parte importante di quello che fu la resistenza apuana sono le donne italiane. Quelle che salirono sui monti per combattere nelle formazioni partigiane e quelle che rimasero nei paesi, sole con i figli e i vecchi.
Queste ultime dovettero combattere due guerre: quella contro la fame e quella contro gli invasori nazifascisti.


Le storie di queste donne sono migliaia, come quelle trucidate a Sant'Anna di Stazzema che fino all'ultimo cercarono di difendere la vita dei loro figli.

Ma le donne apuane hanno condiviso quegli anni durisismi con tutte le donne italiane che più degli uomini hanno preso sulle loro spalle quella società sfregiata e sottomessa.

E quei sacrifici, a volte anche a costo della vita, non vanno mai dimenticati.

Le donne nella Resistenza Italiana furono più di 100mila, delle quali 4653 furono arrestate, torturate e condannate. 2750 furono deportate. 623 morirono fucilate o cadute in combattimento. Alle donne furono assegnate 19 medaglie d’oro al valore militare, di cui 15 alla memoria.

Nelle brigate partigiane versiliesi due nomi su tutti: Vera Vassalle e Cristina Lenzini Ardimanni.

Vera Vassalle nacque a Viareggio nel gennaio del 1920. Conseguito il diploma all'Istituto Magistrale di Pisa, Vera non si era dedicata subito all'insegnamento. 

Era stata, infatti, assunta come impiegata presso la filiale di Viareggio della Cassa di Risparmio di Lucca. 

Lì lavorava al momento dell'armistizio e, nonostante fosse leggermente claudicante per i postumi della poliomielite che l'aveva colpita poco dopo la nascita, si unì subito al gruppo di resistenti coordinati dal cognato Manfredo Bertini, che sarebbe poi caduto nel novembre del 1944.

A Vera è affidato il compito di raggiungere gli Alleati nell'Italia liberata, per richiedere lanci di armi per i partigiani della Versilia. La ragazza parte da Viareggio il 14 settembre del 1943 e, dopo due settimane, passa il fronte nei pressi di Montella d'Irpinia. 

Si mette in contatto con ufficiali americani, non vede subito soddisfatte le richieste dei partigiani versiliesi, ma accetta la missione, nome in codice "Rosa", di coordinare via radio le azioni alleate con quelle partigiane. 

Gli Alleati mandano la Vassalle a Taranto, dove gli esperti dell'Oss (il servizio segreto statunitense), la addestrano per un breve periodo. Quindi la ragazza riparte verso la Versilia, attraversando varie città del Meridione, raggiungendo la Corsica e sbarcando infine, da un sommergibile, nei pressi di Castiglion della Pescaia, insieme con un radiotelegrafista. 

Ha con sé, dissimulata nel bagaglio, l'apparecchiatura ricetrasmittente. Vera sfugge a perquisizioni, supera imprevisti e il 19 gennaio del 1944 è a Viareggio. Ma per qualche tempo, nonostante Vera sia riuscita a prendere i contatti con il CLN regionale toscano e con le formazioni partigiane locali, "Radio Rosa" non entra in funzione per la negligenza del radiotelegrafista.

La Vassalle non si perde d'animo. Riparte da Viareggio per Milano e qui trova un contatto, riesce ad ottenere nuovi piani di trasmissione e, soprattutto, la promessa che le sarà mandato un radiotelegrafista affidabile. 

Così, a marzo, sull'Alpe delle Tre Potenze, è paracadutato Mario Robello (nome di battaglia "Santa"). La coppia Vassalle-Robello (si sposeranno nel dopoguerra), darà il via ad un'attività frenetica che, di lì all'estate, significherà oltre trecento messaggi inviati.

Da quei messaggi deriveranno anche sessantacinque aviolanci di armi e di rifornimenti a brigate partigiane toscane e liguri. Il 2 luglio del 1944, anche a seguito di una delazione, la polizia militare tedesca arriva alla postazione della ricetrasmittente. 

Ma Vera e Mario riescono a mettersi in salvo, dopo aver distrutto i codici e i documenti segreti. Raggiungono, sulle Apuane, la formazione GL "Marcello Garosi". Ottenuta un'altra radiotrasmittente, i due continuano la loro preziosissima attività sino alla liberazione di Lucca. 

Poi Vera Vassalle si sposta a Siena e qui continua la sua opera, sino alla definitiva sconfitta dei nazifascisti, presso il Quartier generale alleato.


Nel dopoguerra, ottenuta l'abilitazione, Vera Vassalle insegna, sino a che non la coglie un male che la porterà alla morte, alle elementari di Cavi di Lavagna. 


Nel dopoguerra Vera si sposa con Robello. Dopo la liberazione,ottenuta l'abilitazione, insegna alla scuola elementare Edoardo Riboli di Lavagna e successivamente alla scuola elementare di Cavi di Lavagna, che le è stata intitolata dopo la sua morte. 
È decorata di Medaglia d'oro al Valor militare, ma deve conoscere anche odiose misure di discriminazione per il suo passato partigiano, per la sua appartenenza al PCI e per la sua attività nelle file dell'ANPI
Morì nel 1985.
Il 29 novembre 2003 a Vera Vassalle la Regione Toscana ha assegnato, alla memoria, il "Gonfalone d'Argento", in occasione della festa regionale dedicata ai disabili.

Cristina Lenzini Ardimanni
Nata a Pisa nel 1903, si sposò con Alfredo Ardimanni, militante anarchico, da cui ebbe il figlio Alberto nel 1923. L‘anno successivo la coppia emigrò in Francia, per sfuggire alle persecuzioni ed alle minacce di morte dei fascisti. 

Stabilendosi nei pressi di Marsiglia, dove Alfredo svolse prima l’attività di muratore e poi quella di piccolo imprenditore edile.

Dopo qualche anno i due si separarono e il piccolo Alfredo venne affidato ad una zia paterna che abitava a Firenze, dove frequentò i primi anni delle Elementari. 
Dopo la riconciliazione dei genitori,  il bambino ritornò in Francia e la famiglia si trasferì a Tolone. 
Allo scoppio della guerra, Alfredo venne rinchiuso con altri italiani nel campo d’internamento di Saint Cyprien, nei pressi della frontiera spagnola, da cui fu successivamente rilasciato. 
Nel 1942 la coppia si separò definitivamente e Cristina tornò in Italia, mentre Alfredo e il figlio rimasero in Francia, costretti a nascondersi per evitare la cattura da parte dei nazisti.
Cristina raggiunse l’Appennino modenese, dove, nei pressi di Pian dei Lagotti, viveva la nonna materna. Nella primavera del 1944 si unì ai partigiani sui monti della Versilia.
Una decisione probabilmente maturata durante  un soggiorno a Pisa, dove, ogni tanto, si recava per far visita ai suoi familiari . Prese parte attiva alle vicende della formazione “Bandelloni”, mostrando un carattere forte e deciso. 
Così la ricorda il partigiano Moreno Costa: “ Cristina era una donna decisa, pareva come una mamma con i suoi quarant’anni, a noi che eravamo quasi tutti molto giovani. 
Alcuni la chiamavano “la francese”, per la sua provenienza, ma sapevamo poco della sua storia personale.  
Partecipava alle azioni, dimostrando di sapersi adattare bene ai disagi della vita in montagna, e si distinse nei combattimenti avvenuti durante il rastrellamento effettuato dalle SS sul monte Ornato, alla fine del luglio 1944.
Il successivo 8 agosto noi della “Bandelloni” eravamo dislocati sopra Farnocchia, quando fummo attaccato dai Tedeschi. 
Prendemmo posizione  per difenderci, ma fummo oggetto di un  violento fuoco di mortai. Io mi trovavo ad un centinaio di metri dalla postazione in cui era Cristina, in località Le Mandrie. 
Non potendo resistere all’attacco fu deciso lo sganciamento. Quando, dopo alcune ore, ci riunimmo nel luogo convenuto, venni a saper che era stata uccisa da un colpo di mortaio mentre azionava una mitragliatrice”.
Venne sepolta nel cimitero di Farnocchia, poi, dopo alcuni anni, i suoi resti furono traslati nell’ossario comune.
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"Ricordo che negli interrogatori che ho ricevuto a Bolzano da parte dei nazisti mi hanno chiamata per la prima volta "ribelle". Ebbene io mi sono detta: "Io sarò sempre ribelle, è una parola che mi piace, lo sarò sempre..."
Elisa Oliva, nome di battaglia "Elsinki" comandante partigiana in Val d'Ossola