lunedì 17 agosto 2020

Chiappa rossa vincerà

Era arrivata l'estate anche in paese. I paesani, tranne le donne che andavano nella piana della Versilia a fare la stagione non erano attratti dal mare. 

Erano montanari da generazioni e il mare non li attirava anche se lo vedevano da lassù, dalle cime delle Apuane.

E poi fino al 1954 in paese non era arrivata la strada, c'era solo la mulattiera per il piano e arrivare a Forte dei Marmi a piedi era una bella camminata. 

La settimana di ferragosto era quella dove quasi tutti i paesani erano in ferie e, nel paese c'era la tradizione della tordellata di  ferragosto. 

La sera dopo che la piazza era stata addobbata, durante la settimana, con le bandierine di carta e file di piccole lampadine si posizionavano i tavoli, ricoperti di carta da pacchi marrone. 

Da una parte c'era un piccolo palchetto dove la banda paesana avrebbe allietato la festa.

Il Cro, il circolo operaio, aveva una cucina che veniva usata nelle occasioni di qualche festa o quando nella sala delle feste a volte si celebrava il pranzo di qualche matrimonio di paesani, al piano di sopra, dove il sabato si ballava anche.  

A Ferragosto era ormai tradizione che i tordelli venissero preparati da alcune donne del paese in quella cucina, e poi cotti e serviti in abbondanza nella piazza dietro a un piccolo obolo per le spese.

Nella piazza, come molti di voi sapranno per aver letto le passate piccole storie, c'era anche il circolo Enal. La rivalità, sopratutto politica tra i due circoli, veniva messa da parte in particolari occasioni. 

Come la festa del Patrono o, appunto, il Ferragosto in cui tutti i soci dell'uno e dell'altro circolo collaboravano a realizzarle.

Quindi il Circolo operaio aveva la responsabilità dei tordelli mentre il circolo Enal quella delle salsicce e rosticciane, arrostite su una griglia di ferro vicina alla sagrestia.

Il vino era equamente fornito dai due circoli, in damigiane posizionate su un tavolo dove, con una sughetta di gomma, venivano riempite le bottiglie per i tavoli.

L'addetto a riempire le bottiglie si chiamava Martino detto Sughetta e si può intuire il perchè. Infatti a metà della cena Sughetta se avesse dovuto fare il palloncino, visto il tasso alcolico,  lo avrebbe dovuto fare in una mongolfiera...

Quell'anno, era il 1963, tutto era pronto per la festa, i tavoli ben allineati nella piazza, le file di lampade e di bandierine che scendevano a raggiera del campanile della chiesa.

Ma il pezzo forte della festa era il palo della cuccagna. In un campo di fianco alla chiesa veniva innalzato un palo di castagno di una decina di metri.

Ben piantato a terra e con dei tiranti in ferro per tenerlo bello dritto. Poi veniva ingrassato con il grasso del maiale perchè così aumentava la difficoltà dell'assalitore.

In cima al palo era fissato un cerchio di ferro orizzontale con attaccati i premi. Un prosciutto, un grosso salame, una bella forma di formaggio di pecora, poi un paio di buste dove in una di solito c'erano dei buoni per bottiglie di vino o liquori.

La sfida sopratutto tra i giovanotti, per farsi belli con le signorine, era quella di arrampicarsi fino in cima e riuscire a prendere un premio nel minor tempo possibile.

La sera della festa tutto era pronto e, verso le 20 la banda diede il via alla festa suonando Rosamunda. Tavoli pieni di gente, cucina e griglia al lavoro e Sughetta impegnatissimo a rifornire di benzina d'uva i commensali.

Dopo un'oretta inizia la gara del palo della cuccagna. I primi ragazzotti si levano scarpe e pantaloni, camicia e rimanendo in cannottiera e mutande iniziano a provare la scalata incitati dagli amici e dalla piazza.

Il palo oscilla e a causa del caldo della giornata il grasso è bello scivoloso. I primi tentativi falliscono tra cadute e scivolate con fischi e prese in giro.

Gli sconfitti da palo, unti e bisunti, venivano schermiti dagli amici "Omo! Sembravi un bolgio(sacco) di patate" ... "Hai il culo grosso come una damigiana ma dove voi andà?" lo sfottò andava avanti mentre i premi oscillavano beffardi senza che qualcuno riuscisse a salire fin lassù.

Poi arrivò Sughetta... "Levatevi dai coglioni! Ci provo io!"

Lavorava alla cave, come molti dei paesani, ed era un tecchiaiolo, quelli che si calavano legati con una fune in vita per pulire con un palo di ferro il monte da sassi pericolosi.

Era alto e secco come un'acciuga ma era un bevitore inserito di diritto nella Hall of Fame del Circolo operaio.

Il vocio delle persone attorno al palo si zittisce al gentile richiamo di Sughetta mentre anche la piazza e la banda sembrano rimanere in silenzio.

Sughetta si toglie gli scarponi, i calzini di lana, i pantaloni e la camicia, poi anche la cannottiera.

Rimane in mutande bianche al ginocchio, che si confondono con il bianco della pelle di Sughetta. Torace segnato dalle costole, scapole in fuori ma due bracci abbronzati e tutti nervi.

Sughetta guarda il palo, il palo guarda Sughetta che si sputa nelle mani e con un salto si aggrappa al palo e con quattro potenti slanci è in cima, forse perchè a forza di salire il palo si era un pò asciugato dal grasso.

La folla che aveva trattenuto il fiato lancia un "Ohhh!!" di meraviglia. Sughetta stacca il prosciutto, il salame e tutti gli altri premi. Mentre sta per staccare il formaggio il palo si inclina da una parte.

"Attento!!" urla la folla. Sughetta si tiene al cerchio di ferro mentre il palo si inclina dall'altra parte. D'un tratto si schiantano due corde che o tenevano dritto.

Il palo parte con Sughetta in cima avvinghiato come un bradipo. La gente scappa da tutte le parti mentre il palo cade con precisione millimetrica sulla griglia delle salsicce.

Sughetta atterra sulla griglia tra un rumore di ferraglia, una nuvola di fumo nero, qualche favilla, un pò di salsicce che volano sul tetto della chiesa e le urla disperate della piazza.

Accorrono per vedere se era sempre vivo di salvarlo da una fine certa circondato da salsicce e rosticciane.

Era a pancia in sù sulla griglia di ferro, lo presero in quattro lo portarono di corsa nel Circolo su una tavolo di legno mentre urlava "Il culo!! Il culoooo!!"

La fortuna di Sughetta fu che la griglia ormai era quasi spenta e aveva solo tanti lividi e una bruciatura alle chiappe. 

Lo girarono a panica sotto e tolti i brandelli di mutande bruciacchiate lo unsero con l'olio di oliva come se fosse stato un pezzo di rosticciana.

Poi lo portarono all'ospedale dove lo medicarono meglio. Per un mesetto non si poteva sedere dai dolori. Quindi beveva appoggiato al banco del Cro e l'unica consolazione furono i buoni del vino e dei liquori vinti sul palo della cuccagna.

Da quel giorno però qualcuno, quando entrava nel bar, qualcuno lo chiamava "Chiappa Rossa vincerà" ricevendo in cambio un invito a recarsi là dove non batte il sole.