giovedì 13 agosto 2020

Il mio e vostro pellegrinaggio laico a Sant'Anna di Stazzema

Come ogni anno vado a portare un fiore a Sant'Anna. Non vado quando ci sono le cerimonie ma molto prima, di primo mattino. Quando lassù non c'è nessuno e c'è solo il silenzio.

Stamattina sono partito alle 4. Un piccolo zaino, la borraccia con l'acqua, qualche biscotto. Fuori è ancora buio ma il cielo è pieno di stelle. 

Ho la lampada frontale, il mio bastone di legno, il pennato legato alla cintola. Lo uso per tagliare qualche rametto o rovo nel sentiero.

Qui non ci sono luci artificiali e non so se lo avete mai visto un cielo di notte pieno di stelle. Verso nord-est ne vedo qualcuna che cade, piccole scie nel cielo.

Salgo fino alla Foce di San Rocchino, poi su, verso il Monte Gabberi poi scendo verso Sant'Anna. 

Mentre salgo inizia ad albeggiare e sento le prime voci del bosco, qualche merlo fischia, due caprioli che mi passano vicini saltando, una volpe che mi attraversa il sentiero.

Passo Case di Berna, poi Sennari, tra i castagni vedo il Sacrario. Non scendo sulla strada asfaltata, passo sempre nel bosco la case di Moco, quelle dei Franchi, la Vaccareccia.

Scendo verso il Sacrario. Mi fermo sotto i castagni a bere e mangio qualche biscotto. Il sole è già alto. sono le sette e le cicale iniziano il loro concerto.

Lì furono portati, nel 1948,  i resti delle vittime, in un primo tempo seppellite in una fossa comune davanti alla piccola chiesa.

La notte è illuminato e si vede da tante parti della Versilia.  A monito e perenne ricordo.

Davanti a me c'è il Sacrario, alla mia sinistra la Via Crucis laica, dove ci sono molte sculture in bronzo sull'eccidio, che porta  alla piazza della chiesa, a destra si apre il panorama della piana della Versilia e il mare... 

Vedo due escursionisti con gli zaini che stanno salendo dalla Culla sul sentiero 107. 

Mi rimetto lo zaino sulle spalle e scendo. Ci sono piante di quella che qui chiamiamo "ricottina" perchè il fiore assomiglia alla ricotta delle pecore. Ne prendo uno. 

Oggi quel fiore è anche il dono di tutti quelli che nei giorni passati hanno letto e condiviso le storie su SantAnna che ho scritto su twitter e che, idealmente, hanno camminato con me fino a qui.

Ogni piccolo petalo è uno di loro.

Faccio la breve salita verso il Sacrario, sui pennoni hanno già messo le bandiere. C'è una brezza leggera, l'aria è calda, c'è silenzio.

Poso il piccolo fiore sulla scultura sotto la volta del Sacrario. Mi siedo sullo scalino davanti alla lapide con i nomi dei martiri.

Penso a  loro e a chi, anche oggi, è vittima innocente di guerre senza senso. Non piango da quando è morta mia madre nel 1979. Non ho lacrime, ma è il cuore che sanguina.

Scendo dal Sacrario, i due escursionisti stanno salendo, ci incrociamo a metà. Sono un uomo e una donna, sulla trentina. Ci scambiamo un cenno di saluto.

Passo per la Via Crucis e arrivo nella piazzetta della chiesa. Ci sono già alcune persone che stanno mettendo a posto per la messa.

Mi fermo a guardarli e mi immagino che anche allora fossero gli stessi gesti di persone che poi in quella chiesa sarebbero state uccisi a colpi di mitragliatrice.

Percorro il breve tratto fino alla piazza dedicata a Anna Pardini, la più giocane vittima, 20 giorni di vita.

Qui finisce la strada asfaltata che sale dal piano, stanno arrivando auto e persone a piedi. 

Mi fermo vicino al muro del cimitero alla fontanella. Riempio la borraccia e riprendo il sentiero nel bosco verso Sennari.

Risalgo verso il Monte Gabberi, riscendo verso la foce di San Rocchino scendo a Trescolli e sono a casa.

Lassù il silenzio per qualche ora non ci sarà più. Giuste cerimonie per qualcuno ma che io non apprezzo...

Voglio chiudere questo mio e vostro pellegrinaggio laico con un estratto da una articolo del dicembre 1945 che raccontava la vicenda di una delle vittime di Sant'Anna.

Genny Bibolotti Marsili, uccisa alla Vaccareccia e che con quel gesto salvò il figlio di sei anni Mario.  Piero Calamandrei la definì ”simbolo della Resistenza popolana che osa scagliare contro i lanciafiamme la sua inerme furia materna":



"Così, sola contro le SS, contro l’esercito tedesco si batté Genny Marsili. Si batté con uno zoccolo, un povero domestico zoccolo di legno. 

Contro bombe, mitragliatrici, cannoni scagliò il suo zoccolo, Genny Marsili, contro i diplomatici con le feluche, contro i ministri,contro i re...

... contro il mondo dei potenti imbelli che gettano ogni vent’anni la povera gente nelle guerre.

Che avevano tolto a lei il marito, la casa, le care gioie di ogni giorno, e ora le toglievano il figlioletto e la vita. 

Scagliò lo zoccolo e in quel punto stesso cadde, squarciata dal piombo. Poi venne il fuoco. Però la sua prontezza aveva salvato il bimbo. 

Orribilmente ustionato, ma per miracolo vivo, fu raccolto il giorno appresso.

Spero che qualche maestra legga qui la storia dello zoccolo di Genny Marsili, e che la racconti ai suoi scolari. È molto più bella del sasso di Balilla"