sabato 21 marzo 2020

La frittata


Nei giorni precedenti la settimana pasquale era tradizione la benedizione delle case. Il parroco accompagnato da due o tre chierichetti, vestiti con la cotta, visitava casa per casa le famiglie del paese per la benedizione di rito.

In quell'anno tocco anche a me accompagnare Don Angelo insieme a mio cugino Cesare detto Cesarino e un altro compagno di scuola, Leonardo. 

Io indossavo la cotta che aveva cucito e ricamato mia madre e mi era toccato portare i santini che lasciavamo in ogni casa, a Cesarino un cesto di vimini dove riporre le uova che generosamente le famiglie lasciavano come dono al parroco e a Leonardo una piccola busta di pelle dove riporre eventuali, rarissime, donazioni di qualche spicciolo.

Si partiva molto presto, verso le sette dalla chiesa, il prete davanti e noi dietro in fila indiana. 

Le case venivano tirate a lucido nei giorni precedenti, profumate di lavanda e timo che sprigionavano le lenzuola nei letti, le coperte mai usate ma usate per quell'occasione, le candide tovaglie ricamate sul tavolo del salotto, nelle case dei più abbienti o sul quello di cucina in quelle più povere.

Di solito si entrava accolti dalle donne di casa visto che i mariti erano quasi tutti al lavoro e al massimo c'erano i nonni ormai in pensione da anni.

Mentre il prete recitava la benedizione seguito dalla padrona di casa visitava tutte le stanze benedicendo con l'aspersorio noi si rimaneva ad aspettare.

Nelle poche case dei più abbienti di solito sul tavolo c'erano, nell'ordine,  un piattino con dentro a volte qualche spicciolo o 500 lire o anche di più, una bottiglia di marsala all'uovo o di vermouth rosso con relativi bicchierini del servizio buono e i savoiardi.

In quelle pù povere sul tavolo un piattino con qualche uovo e al massimo una fetta di castagnaccio con un pò di ricotta di pecora.

Ovviamente quelle che ci piacevano di più erano quelle dove c'erano savoiardi e marsala.

La padrona di casa finita la benedizione ci versava l marsala, e ci invitava a prendere un savoiardo. E mentre noi, felici, gustavamo savoiardi e marsala il prete scambiava due chiacchiere con i nonni o la padrona di casa.

Lasciato il santino si proseguiva casa per casa. Verso mezzogiorno la casa del maestro elementare era il luogo del pranzo. Tutti a tavola , noi, il prete, la padrona di casa e il maestro.

Era tradizione della padrona di casa fare i tordelli e il coniglio ripieno. Ma quello che a noi chierichetti aspettavamo in gloria era il tiramisù anche quello con i savoiardi.

Finto il pranzo ristoratore si ripartiva per finire il giro del paese e come ultima tappa si benediva la canonica con la vecchia madre del parroco.

Era quasi sera e avevamo da visitare l'ultima casa prima di tornare alla chiesa, io avevo quasi finito i santini, la borsa di Leonardo non era piena ma neanche vuota e Cesarino portava la cesta con fatica visto che era quasi piena, a occhio e croce di una settantina di uova.

Cesarino portava gli occhiali, a fondo di bottiglia e se se li levava era cieco come una talpa. 

Scendiamo una viuzza a scalini per andare all'ultima casa, il parroco davanti, io e Leonardo dietro e Cesarino un pò distanziato.

A un certo punto si sente un tonfo e un'invocazione, dalla voce di Cesarino, non proprio religiosa che vedeva coinvolto Dio e quell'animale di cui non si butta via niente.

Ci giriamo e vediamo Cesarino a gambe all'aria il cesto rovesciato e quasi tutte le uova spiaccicate in terra come un enorme frittata.

Le uova il parroco non le consumava tutte lui e  la madre, perché altrimenti sarebbero morti per colesterolo fulminante, ma le rivendeva all'alimentari della valle e coi soldi provvedeva a comprare candele o altri oggetti utili alla chiesa.

Visto l'immane disastro dopo un attimo di smarrimento il parroco cacciò un urlo belluino e si mise a percuotere il povero Cesarino con l'aspersorio.

"Che hai fattooo!! Mascalzone, che hai fatto"

"Sono inciampato nella tonaca - rispondeva il povero Cesarino piagnucolando - Non l'ho fatto apposta!"

Il prete alzando le mani al cielo e, secondo me, imprecando laicamente nel profondo e scuotendo la testa riprese il cammino.

Io e Leonardo aiutammo a rialzare il povero Cesarino, che puzzava come uno zabaione andato a male, recuperammo una decina di uova rimaste sane e seguimmo il prete nell'ultima benedizione.

Il buon Don Angelo l'anno dopo non volle Cesarino nel giro della benedizione delle case  e impose ai chierichetti di non bere marsala e al massimo mangiare solo i savoiardi.

Perché pensava che la causa della caduta non fosse stata colpa della tonaca ma del marsala che Cesarino aveva abbondantemente bevuto la mattina a stomaco quasi vuoto.

Cesarino è diventato sacerdote e fa il missionario in Africa.

Non gli ho mai chiesto se la ragione della sua vocazione fosse la chiamata del Signore o il rimorso per la gigantesca frittata.