Il patrono del paese era San Michele Arcangelo e il 29 settembre di ogni anno veniva festeggiato dall'intera comunità. La statua del santo era conservata nella piccola chiesa del paese su un altare. Non era molto alta, nemmeno un metro ed era di gesso colorato.
La devozione al santo era trasversale, anche chi non era credente nel momento del bisogno si appellava a lui per un aiuto e quindi tutti, praticanti e bestemmiatori la settimana prima della festa collaboravano a realizzarla.
C'erano la maestra e il maestro delle elementari che preparavano insieme ai bambini lunghe file di bandierine di carta colorata che poi venivano appese da casa a casa nelle strade del paese e sulla piazza.
Altri ripulivano le strade con secchiate d'acqua e lunghe scope di saggina, le beghine pulivano a fondo la chiesa, la statua del santo, panche e arredi compresi, il coro provava e riprovava le arie per la messa cantata e la banda paesana ogni sera metteva a punto le marce religiose per la processione.
Solo un paio di novantenni, seduti sula panchina del bar, rimanevano a guardare l'agitazione dei paesani che sembravano formiche operose fumando sigari toscani e bagnandosi le labbra con un sorso di vino generoso e bofonchiando frasi incomprensibili.
Il parroco del paese, Don Angelo, correva da una parte all'altra perché tutto fosse pronto per la visita del Vescovo che avrebbe partecipato alla processione. Controllava addirittura i grandi candelieri d'argento sull'altare misurando la distanza tra uno e l'altro con il metro.
La sera prima del 29 settembre finalmente i lavori erano finiti. Il paese era addobbato come un luna park, i lumini ad olio già posizionati su ogni finestra e pertugio, la chiesa profumata da enormi mazzi di fiori che nemmeno il palco del Festival di Sanremo aveva mai visto, la statua di San Michele posizionata sulla portantina di legno nel centro della chiesa pronta per la processione.
Tutti nelle case dormivano quando un fischio come di treno a vapore e un boato scosse i muri delle case.
Tutta la gente aprì le finestre e iniziarono a chiamarsi a chiedere cos'era successo.
"Il terremoto!!" .. "No, era una bomba!!"... "Il giudizio universale!!"... "Siete morti?"..."No siamo vivi!!"... Un delirio di voci, imprecazioni.
Qualcuno era sceso nella piazza del paese per suonare la campana del campanile a martello come si usava in caso di pericolo. Entrarono in chiesa e gli accolse una nuvola di polvere. Accesero le luci e videro una scena dantesca.
Nel diradarsi della nuvola di polvere, nel mezzo della chiesa, apparve un cumulo di macerie, tegole rotte, pezzi di trave e mattoni da cui spuntava un braccio di San Michele con in pugno la spada.
In alto, il tetto della chiesa era rotto, un buco grande come una ruota di bicicletta da cui si vedeva il cielo e le stelle. In terra, tra le macerie un oggetto di ferro, una specie di coperchio rotondo con dei ganci e lunga una serpentina di rame.
Non era un pezzo di astronave aliena ma assomigliava molto a un un pezzo di bombola del gas e aveva attaccato uno strano tubo di rame tutto attorcigliato. In chiesa c'era un odore di polvere e, stranamente, di grappa.
Intanto i paesani si erano riversati nella piazza e lo sgomento per quanto era successo si leggeva nei volti perchè c'era un silenzio spettrale.
Don Angelo che viveva nella canonica accanto alla chiesa si inginocchio sulla porta mentre i primi arrivati in chiesa cercavano di liberare quello che restava di San Michele dalle macerie.
L'operazione portò al salvataggio di un ala dell'angelo, un moncone del braccio che sorreggeva la spada, un piede senza tre dita, una piccola parte di gamba con calzare. Il resto polverizzato insieme a tegole e mattoni del tetto.
"Preghiamoo fratelli e sorelle!!" gridò il povero Don Angelo nella disperazione generale.
Il giorno dopo, sul calare del sole, accesero tutti i lumini e portarono in processione su un baldacchino improvvisato i poveri resti terreni di San Michele, con la banda che suonava non allegre marcette ma la Marcia funebre di Chopin.
I carabinieri fecero le dovute indagini per scoprire da dove fosse arrivato quell'ordigno che aveva danneggiato il tetto della chiesa e ridotto in polvere San Michele. Non riuscirono mai a scoprire l'autore o gli autori del danno.
Ma, il povero Don Angelo, conobbe la verità molti anni dopo quando il povero Gelindo sul letto di morte si confessò e gli raccontò come erano andate le cose.
Lui e suo cognato avevano deciso di distillare la grappa in casa come tanti in paese facevano. Suo cognato che si vantava di avere conoscenze tecniche aveva costruito un distillatore con una bombola del gas , tagliando la parte superiore a mò di coperchio fissato con dei ganci.
Avevano montato tutto sotto la tettoia vicino casa, poi la notte del 28 settembre di quell'anno avevano iniziato a distillare riempiendo lo strano aggeggio di vinacce e accendendovi sotto un grosso fornello a gas.
Dopo una decina di minuti dall'infernale aggeggio si era levato un fumo e un fischio tipo pentola a pressione, lui e il cognato si erano guardati poi avevano iniziato a correre mentre l'alambicco improvvisato saltava per aria con un boato.
Il tappo era schizzato in aria e nella sua parabola discendente aveva centrato il tetto della chiesa e di conseguenza anche San Michele.
Erano tornati subito indietro sotto la tettoia, ripulito tutto dai rottami fumanti, sotterrati nel campo e poi corsi in piazza anche loro senza dire una parola.
A Don Angelo venne la voglia, dopo che Gelindo nel letto di morte gli aveva confessato il misfatto, di percuoterlo violentemente con l'aspersorio dell'acqua benedetta.
Ma si ricordò di essere un prete e lo assolse, a malincuore, da tutti i peccati...
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San Michele aveva un gallo è una filastrocca per i piccoli raccontata dalle mamme e dalle nonne per decantare la bontà del latte con il miele.
La filastrocca cambia, a volte, da regione a regione, mia nonna declamava questa:
San Michele aveva un gallo
bianco, rosso, verde e giallo
e per farlo cantar bene
lui gli dava latte e miele.
Viva il gallo di Michele!