giovedì 26 marzo 2020

Il pane dei poveri



Una volta le famiglie in montagna non avevano molto con cui sostentarsi. Non c'erano supermercati o discount, tantomeno i frigoriferi o i congelatori e l'economia domestica viveva di quello che la terra e gli animali donavano.


Quasi tutte le famiglie avevano degli animali. Chi qualche vacca, chi pecore e capre, e quasi tutti un maiale.

Dai campi coltivati si ricavava grano e mais, poi macinati al mulino ad acqua, le verdure di stagione, dagli alberi da frutto mele, pere, ciliegie. La frutta come le mele e le pere erano cultivar antichi e venivano conservate nel fieno o in locali un pò areati.

Ma la risorsa più preziosa erano le selve dei castagni. Tutti avevano selve, più o meno grandi dove la coltivazione del castagno era l'attività principale.

Il castagno era usato per legno da costruzione, travi, finestre porte o da arredamento, tavoli, sedie, madie, 
con la scorza dei più giovani ceste e gerle, oppure ci si faceva il carbone, ma sopratutto era, per molti, l'albero del pane.

I boschi dei castagni venivano tenuti in buono stato, ripuliti da erbacce e arbusti per facilitare la raccolta.
Quando arrivava l'epoca del raccolto donne, uomini e bambini con un grembiule fatto a tasca raccoglievano chini le castagne anche liberandole dai ricci.

Poi andavano in un punto dove c'era un mulo o un asino, le versavano nei sacchi e il quadrupede li portava verso casa.

Le castagne venivano stese al sole qualche giorno nelle aie davanti le case poi si accendevano i metati dove seccarle.

Quando, dopo una quarantina di giorni nel metato erano belle secche, venivano pulite dal guscio e "spulate" con un grande polverone. Poi riposte in sacchi e portate al mulino per macinarle. 

Chi non aveva un metato veniva ospitato da qualcuno e le castagne prima di essere seccate venivano "misurate" con un mastello di legno. Così anche se mischiate ad altri raccolti ognuno sapeva quanti mastelli gli spettavano alla fine.

Una piccola quantità di castagne secche veniva tenuta in casa e le "secchine", così come venivano chiamate, erano la caramella per tutti.

La tenevi in bocca e sembrava un sasso, ma piano piano si ammorbidiva e il sapore dolce della castagna era un piacere.

A volte le facevano bollire nel latte di pecora, delle loro pecore, ed era un piatto prelibato. 

Il mulino consegnava il quantitativo spettante ad ogni  famiglia e la farina di castagne veniva portata nelle case e riposta, pressandola, in una madia di legno o lasciata nei sacchi di tela.

Era l'oro delle famiglie perché con quella l'inverno, sarebbe stato meno duro. La mattina la farina veniva sciolta nell'acqua, fatta bollire e poi messa in grandi tazze o piatti fondi e ricoperta di latte di vacca o di pecora appena munto.

Sempre con la farina le massaie preparavano i ciacci, o necci. Delle specie di crepes fatte su due dischi di ferro con il manico nel camino. Poi venivano mangiati, caldi,  con la ricotta di vacca o di pecora, arrotolati.

Mia nonna a volte prendeva il ditale usato per proteggere le dita dall'ago lo riempiva di farina e lo metteva tra la brace. Poi lo toglieva con le molle dal fuoco lo scuoteva  e  mi porgeva quel piccolo cioccolatino di castagne.

Un'altro uso era il castagnaccio, una torta con farina di castagne, noci e rosmarino. I pinoli sono una variante moderna perché loro avevano al massimo qualche pianta di noce o di nocciolo.

C'era anche chi ci faceva la polenta, mangiandola con il loro formaggio o, al massimo, un'aringa su cui tutti passavano la fetta di polenta. Veniva appesa al centro del tavolo e, alla fine la sporzionavano per tutti.

Le castagne venivano anche bollite, da queste parti si chiamano "ballotti", o cotte in una padella traforata sul fuoco del camino le famose caldarroste o come si chiamano qui "mondine".

E farle davanti al camino era una festa per tutta la famiglia e i grandi le accompagnavano con il vino fragolino, che ricavavano dall'uva fragola o colombana di cui, magari avevano qualche vite nei campi.

Le castagne hanno salvato intere generazioni dalla fame, in tempo di pace come in tempo di guerra. 

Oggi la coltivazione del castagno, tra mille difficoltà, rimane in alcune parti d'Italia ma quella cultura, del castagno e della castagna, è andata perduta forse per sempre.


Note:
Cos'è il metato