mercoledì 11 marzo 2020

Un ragazzo del '99


Mio nonno era un ragazzo del '99. Si chiamava Luigi ed era nato il 1 gennaio del 1899. I ragazzi nati in quell'anno furono chiamati alle armi nei primi mesi del 1917 per rinforzare le truppe italiane impegnate nella Grande Guerra. 

Non raccontava volentieri quei tempi, forse perchè il ricordo era duro, pieno di sangue, di morti, di urla dei feriti, di fango, sangue e intestini sventrati nell'inferno delle trincee. 

Perchè quella guerra falciò una generazione di giovani, provocò più di sedici milioni di morti e 20 milioni di feriti e mutilati tra soldati e popolazione civile.

Fu destinato nella zona del Monte Grappa e sul Piave. Mi raccontava che, al momento della chiamata alle armi, era partito dal paese a piedi e li avevano radunati a Pietrasanta, poi su una tradotta fino a Torino.

Erano ragazzi di 17/18 anni, contadini, carbonai, cavatori, boscaioli, pastori che forse per la prima volta nella loro vita avevano visto un treno. 

Non avevano valige, chi un sacco di juta, chi un fagotto in cui c'erano poche cose, qualche calza di lana, un telo di canapa ( quello che chiameremmo oggi un asciugamano), qualche frutta, un pezzo di pane e di formaggio.

Quando arrivarono a Torino raccontava che era notte e si ricordava un grande viale con le lampade a gas. Rimasero 3 mesi in una caserma per l'addestramento e poi furono spediti al fronte. Lì trovarono l'inferno.  

Uomini molto più grandi di loro, abbruttiti da mesi di guerra, una guerra di posizione, logorante, feroce.

Con davanti un nemico che viveva le stesse dure condizioni, uomini contro uomini, non macchine o droni ma esseri umani pieni di paura, carne da macello da entrambi i fronti.


E lo stesso pensiero, salvare la pelle e tornare dai tuoi cari.


Non mi ha mai detto se avesse ucciso qualcuno. Ma dal suo sguardo, quando ne parlava, capivo che era successo.

Quando è morto aveva 91 anni, e fino a una settimana prima di andarsene per sempre era lucido e attivo. Mia nonna l'aveva preceduto di un anno.

L'ultima settimana nel suo letto, nella sua vecchia casa si è spento come una piccola candela, lentamente, serenamente. 

Quell'anno mi aveva regalato una piccola scatola di latta facendomi promettere che l'avrei aperta solo quando lui non ci fosse stato più.

Quando l'ho aperta c'erano poche cose, le stellette della sua divisa, una sua foto da giovane, due bossoli di moschetto, una penna stilografica, un fischietto. Questo:





Un fischietto di latta, un pò arrugginito. Ho pensato che lo avesse con se in trincea, forse serviva per fare segnalazioni, non ho mai fatto ricerche in merito. Mi piaceva e mi piace pensare che lo abbia usato per salvarsi o salvare una vita.

Lo porto con me, come un portafortuna e a volte quando sono nei boschi me lo porto alle labbra e soffio. Ha un suono dolce che rimbalza sulle grotte, negli alberi.

E per un momento Luigi è qui con me e mi sorride con quegli occhi scuri, tristi ma pieni di immagini belle e brutte, ma mai dimenticate.

"Novantanove, m'han chiamato. m'han chiamato m'han chiamato a militar. e sul fronte m'han mandato. m'han mandato m'han mandato a sparar..."