venerdì 13 marzo 2020

In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti


Quando andavo alle elementari capitava molto spesso di dormire dalla nonna materna. Si chiamava Palma e mio nonno Amilcare ( suo marito) era morto nella seconda guerra mondiale in Russia. Aveva avuto tre figli, due figlie ( una mia madre) e un figlio che era nato un mese prima che il marito andasse in guerra.

Li aveva cresciuti da sola, con poche lire di vedova di guerra e qualche piccolo aiuto di un fratello che aveva una piccola attività. Li aveva vestiti e sfamati, educati da sola continuando a lavorare nei campi, accudendo le vacche o ricamando corredi.

Non era molto alta ma era massiccia, con mani piccole e nodose. Aveva dei capelli di un castano ramato che portava sulla nuca in una stretta crocchia. Quando li scioglieva per lavarseli, fuori sull'aia, gli arrivavano quasi ai polpacci. Occhi castani, profondi, segnati da leggere occhiaie.

Era religiosissima, non perdeva una funzione religiosa, fossero messe, vespri, funerali nemmeno se ci fosse un uragano. In casa c'erano immagini sacre di madonne e santi appesi alle pareti come fossero dei poster di rockstar.

In un angolo del salotto, salotto che veniva aperto solo a Pasqua e Natale per i pranzi in famiglia, c'era un mobiletto in noce dove, su un ripiano al centro c'era, in un quadro con la cornice d'argento la foto di mio nonno circondata da altri santini e rosari che lei portava dai suoi pellegrinaggi con la parrocchia.

Capitava spesso che io e i miei quattro cugini più piccoli di me (due donne e due maschi) dormissimo da lei. Aveva due stanze da letto, con in una un letto di ferro battuto matrimoniale e nell'altra, la sua, un letto, sempre matrimoniale, di noce che aveva fatto mio nonno e un piccolo lettino.

Alle testate del letto erano appesi due quadri, nella stanza con il letto in ferro ( dove dormivano le mie cugine) uno c'era una madonna con il bambino, nell'altra stanza, quella con il letto di noce un Sant'Antonio Abate con il maiale.

Io e un mio cugino dormivamo con lei, e il cuginetto più piccolo nel lettino. Lei sul lato sinistro del letto, io nel mezzo e mi cugino a fianco.

Ma prima di dormire, e di solito da lei si saliva in camera verso le 20, c'erano dei riti da rispettare. Intanto dovevamo lavarci le mani e il viso, con sapone di marsiglia e, dato che non c'era acqua corrente in casa, con l'acqua fredda presa alla fontana pubblica con la secchia.

Ma se d'estate tale pratica può essere anche piacevole, a gennaio, con un metro di neve fuori dalla porta, diventa esercizio di sopravvivenza. Credo che non occorra precisare che le case a quel tempo e in quei paesini di montagna, parlo degli anni 60,  non avevano riscaldamenti come li abbiamo oggi ma stufe a legna e camini.

Dopo il lavacro penitenziale, con mani e viso rossi come peperoni salivamo la scala e indossati i pigiami e dopo che lei aveva tolto il frate con lo scaldino da sotto le coperte, ci infilavamo nel letto con un sospiro di sollievo.

Ma la tortura non era ancora finita! La nonna Palma, che come dicevo era religiosissima, accendeva, dopo aver spento la luce una candela sul suo comodino, prendeva un piccolo libro nero, lo apriva e iniziava a recitare preghiere e in particolare le Litanie dei Santi.

Non se se qualcuno di voi conosca tale pratica religiosa. Lei declamava nella penombra: "Signore pietà" e noi dovevamo rispondere "Signore pietà", poi dopo il padre, il figliolo e lo spirito santo arrivavano angeli e arcangeli. 

E allora vai coi Santi Michele, Gabriele e Raffaele e noi "pregate per noi", ma essendoci ancora la messa in latino la locuzione era "ora pro nobis", "orate pro nobis"  "kyrie eleison". Quasi un mantra...che conciliava il sonno.

A quel punto, ed era passato solo qualche minuto il manipolo dei miei cugini, tutti e quattro, abbandonava la lotta e russavano alla grande. Io che ero il più grande ed ero a portata di gomito di nonna Palma dovevo rimanere sveglio con lei.

E quindi partiva una salva di nomi di patriarchi e profeti, apostoli e discepoli, martiri, vescovi e dottori, sacerdoti e religiosi e per finire laici che lei scandeva uno a uno con lentezza e ai quali, singolarmente dovevo rispondere "prega per noi" se era un nome singolo o "pregate per noi" se erano una comitiva.

E se Morfeo si azzardava a farmi chiudere gli occhi nonna Palma partiva con il gomito ad altezza costole e risvegliava la mia attenzione. Finalmente soffiava sulla candela e si dormiva.

La mattina sveglia all'alba, lei era già vestita ed era andata alla fontana a predere la secchia d'acqua, al piccolo forno paesano a prendere un pezzo di focaccia di granturco con cui mi preparava, essendo l'unico che andava a scuola, la merenda mattutina riempiendola con una mezza salsiccia spalmata.

Poi mentre noi ci vestivamo e ci si lavava, sempre con acqua fredda che resuscitava anche i morti oppure provocava cuperose e infarti al miocardio, lei preparava il tavolo in cucina con 5 tazze bianche.  Affettava il pane casalingo cotto nel suo forno a legna, lo spezzava nelle tazze e ci versava il latte caldo della vacca che ancora aveva.

Poi metteva la merenda nella cartella di scuola, mi aggiustava il grembiule nero e il colletto bianco e il fiocco azzurro e versava, in un piccolo bicchiere di vetro fatto a calice come quello del prete, la FerroChina Bisleri fino all'orlo.

"Bevi - mi diceva- ti fa bene". Ora non so per quale oscura ragione, forse per la parola ferro nel nome, lei pensasse che tale bevanda alcolica ( circa 20 gradi) fosse la panacea a una crescita robusta del nipote.

Io so solo che la mattina verso le sette e mezzo, far bere un bicchierino di un alcolico a un bambino di sette/otto anni era come dopare Coppi prima della salita dello Stelvio.

Mentre i miei cugini rimanevano con lei io uscivo con la cartella e percorrevo le stradine del paese verso la scuola e arrivando nel cortile, poco prima della campanella, con la stessa baldanza di Dorando Petri alla fine della maratona  a Londra.

La prima ora di scuola era, per me, un viaggio nell'ignoto. mentre il maestro spiegava io avevo visoni di santi, patriarchi, e del maiale di Sant' Antonio Abate ( che non vuol essere una bestemmia) che mi rincorreva con la candela di nonna Palma presumo per reclamare le spoglie di suo fratello tramutato in salsiccia.

Credo di aver rischiato seriamente , per l'amore di mia nonna, l'alcolismo e la cirrosi epatica.

Per omnia sæcula sæculorum. Amen..