domenica 15 marzo 2020

Shangai



Lo chiamavano Shangai e non per qualche legame con la città cinese ma per la sua magrezza che ricordava uno dei bastoncini del gioco. Era alto, con un volto tondo, un naso a patata, stempiato e due ciuffi di capelli riccioli ai lati. 


Parlava pochissimo e a voce bassa, non ti guardava mai negli occhi. Era il becchino del cimitero del paese. 

Indossava quasi sempre un vecchio abito grigio scuro, con tanto di camicia bianca (con un colletto segnato dal sudore)  e cravatta nera,  tutto attillato che metteva in risalto la sua magrezza. 

Solo quando doveva lavorare nel cimitero indossava una vecchia tuta blu mezza scolorita con una grande scritta bianca dietro le spalle: GoodYear con tanto di scarpa alata.  

Non aveva mai avuto una donna e quindi non si era mai sposato. Aveva vissuto sempre con la madre vedova. Ma da qualche anno era rimasto solo. 

Non aveva l'auto ma una vecchia vespa il cui colore era un incrocio tra bianco, ruggine, e nero catrame per tutte le volte che il mezzo motorio aveva baciato l'asfalto. 

Perchè Shangai amava moltissimo il vino del bar della piazza del paese. Beveva molto ma solo nel fine settimana. E i paesani erano ben contenti di pagargli le bevute. 

C'è chi ubriacandosi diventa cupo e cattivo. Shangai no, lui diventava un altra persona, allegro, sorridente, chiaccherone. 

Quando il suo serbatoio alcolico raggiungeva un buon livello si posizionava nel mezzo della piazza, sugli attenti, davanti al monumento dei caduti della Grande guerra e  iniziava a cantare a squarciagola la Canzone del Piave stonando. 

Finita l'esibizione, tra gli applausi degli avventori, ritornava nel bar per un altro bicchiere. 

Aveva cura del cimitero del paese e lo teneva pulito come fosse un giardino, niente erbacce, puliva le tombe di persone che magari non avevano più familiari e ci sistemava davanti dei fiori che raccoglieva nei campi. 

A volte si accoccolava vicino a una tomba, si preparava una sigaretta e parlava con il defunto come se fosse lì vicino a lui, vivo. 

Li conosceva uno per uno, conosceva le loro storie, le loro vite. Li aveva vestiti, sistemati nella cassa di legno, per l'ultimo viaggio. 

"Ti ricordi Carlino quando suonavi la fisarmonica sulla piazza il Primo Maggio? Te le ricordi le bandierine di carta appese dal campanile alle case, il giorno della festa del patrono, che si muovevano nel vento e sembravano farfalle? Bei tempi Carlino!" 

Poi un ultimo tiro alla sigaretta e riprendeva il lavoro.

Capitava a volte che rimanesse anche la notte nel cimitero perché magari nella piccola cappella c'era la salma di una persona anziana che non aveva più parenti in attesa, il giorno dopo, di essere sistemato nella piccola tomba scavata nella terra. 

La veglia funebre di solito si faceva in casa, poi da lì partiva i funerale verso il cimitero distante un chilometro dal paese. Ma quando moriva qualcuno che non aveva parenti lo sistemavano nella cappella del cimitero. 

E allora la notte lui rimaneva nella cappella, a vegliarlo,  parlandogli come faceva con le tombe fino al chiarore dell'alba. Era il suo modo di esprimere la riconoscenza sua e del paese a chi aveva condiviso con loro gioie e dolori. 

Poi, in ultimo gesto d'amore, accarezzava il volto del defunto, chiudeva la cassa,  e aiutato da altri paesani procedeva alla sepoltura. 

Una notte che era nel cimitero a vegliare una salma, verso le due alcuni ragazzotti del paese decisero di fargli uno scherzo. 

Con del carbone si tinsero i volti di nero, si misero le palandrane nere che usavano i confratelli della misericordia e entrarono nel cimitero dove Shangai stava vegliando un vecchietto morto la mattina. 

Si misero fuori dalla cappella e  illuminati da una luna piena, nel silenzio iniziarono a chiamarlo con voce profonda: "Shangai, Shangai... ti siamo venuti a prendere..."  

Lui si alzò lentamente, prese un bastone nodoso dietro la porta usci dalla cappella gridando: "Dei morti non ho paura e dai vivi mi difendo!!" 

Iniziò a menare bastonate a destra e a manca e i poveri malcapitati cercarono di fuggire ma le lunghe tonache nere non facilitavano la corsa e mentre incespicavano nel vialetto del cimitero, i colpi di randello colpivano teste, spalle e gambe. "Shangai siamo noi!!! Era uno scherzoooo!!!" 

Ce la fecero a fuggire, zoppicando e imprecando della loro stupida idea.  Shangai rimase sul cancello del cimitero guardandoli sparire nella notte. Ritornò nella cappella e riprese la sua veglia. 

Il giorno dopo al bar del paese l'assalto notturno era l'argomento principale. I quattro ragazzi avevano dovuto essere medicati e tra punti di sutura e fratture ebbero una lunga convalescenza. 

Ma Shangai non ebbe nessuna denuncia, anzi, i genitori dei ragazzi gli regalarono il parabrezza per la vespa che gli si era rotto in uno dei suoi matrimoni con l'asfalto. 

Glielo fecero trovare al cancello del cimitero con un biglietto: "Questo è per te e ci scusiamo per i nostri figli che non abbiamo saputo educare al rispetto degli altri." 

Shangai visse fino a 92 anni, e ogni anno, nel giorno dell'anniversario della sua morte vado al piccolo cimitero e poso sulla sua tomba un fiore raccolto nel campo. Mi siedo lì acconto e inizio a parlarci ... "Ciao Shangai ti ricordi ..." 

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"E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell'aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio.“ 
Tiziano Terzani