mercoledì 13 maggio 2020

Alla Croce


C'è un luogo, sul sentiero che per anni i paesani, hanno percorso per recarsi al lavoro sulle cave che si chiama "Alla Croce". 
Prende il nome da una marginetta o Maestà con una croce di ferro sul tetto. Le marginette, molto diffuse da queste parti sui sentieri hanno la forma di piccole casette per dar riparo e riposo ai viandanti. 

Al loro interno ci sono due rialzi ai lati che servono come panche e, quasi sempre una mensola in muratura, il posatoio, utilizzata dai viaggiatorii per appoggiare il carico. 

Le marginette, chiamate anche edicole e realizzate in pietra, erano anche riparo per gli animali che, secondo la transumanza, si portavano sugli alpeggi.

Qualcuna era ricovero temporaneo degli attrezzi contadini, ma, soprattutto, era luogo di preghiera del singolo come della collettività e all'interno c'era sempre un piccolo bassorilievo raffigurante un santo.

Quella della Croce è a metà strada tra il paese e le cave, ed è abbastanza capiente ( dentro ci si sta seduti comodamente anche in 5/6 persone) e sul bassorilievo è raffigurato Sant'Antonio da Padova.

Il luogo una volta era una specie di alpeggio per le pecore e le capre che quasi ogni famiglia aveva. 

Ci sono alcune casette di pietra e tetti di ardesia, qualcuna più grande, qualcuna solo di due stanze  e dove si conservava il fieno e i greggi ma anche qualche gallina e coniglio.

La Croce è un grande pianoro da dove si vede il mare e Forte dei Marmi, come i monti Folgorito, Carchio e l'Altissimo. A nord è riparata dalla tramontana dai primi costoni delle Cervaiole.

E' stato disboscato in altri tempi per essere coltivato con patate, orzo, granturco. Si trova a limite dei castagneti e dove iniziano i boschi di faggio e ci sono due sorgenti. 

Era un posto ottimo sia per gli animali che per le piccole coltivazioni ed era comodo per quelli che lavoravano alle cave essendo di passaggio.

Quindi la mattina quando andavano alla cava e la sera quando tornavano a casa potevano fermarsi e accudire agli animali e ai campi. L'estate le casette venivano vissute anche dalle loro famiglie.

Ci si trasferiva alla Croce e si rimaneva su fino ai primi di settembre. Anche la mia famiglia aveva una casetta lassù e c'è ancora.

Era composta da due stanze a pianterreno e due sopra. Le due stanze sotto erano le stalle, con il pavimento in terra battuta, le due al primo piano con i pavimenti fatti di tavole di castagno.

Le stanze, sia sopra che sotto erano divise da un tramezzo fatto di pali di castagno. Nelle stalle da una parte il gregge dall'altra le galline e i conigli.

Sopra appena entrati sulla destra c'era un camino, poi un piccolo tavolo con due panche e un lavandino fatto di marmo. 

Ovviamente l'acqua corrente non c'era e si andava alla sorgente con delle secchie di rame a prenderla per bere, cucinare, lavarsi. La toilette era il bosco.

La stanza aveva una piccola finestra e i muri erano spessi almeno 50 cm, tutti di pietra squadrata. Il tetto era fatto di travi e travicelli di castagno e sopra piccole lastre di ardesia.

Nell'altra stanza c'era il fienile e nel pavimento una botola che permetteva di buttare il fieno nella stalla per gli animali. 

Non c'era elettricità ma lampade a olio, qualche candela. Su una mensola di legno erano riposti piatti, bicchieri, posate oltre a qualche pentola e il paiolo.

Attaccata al muro delle stalle c'era una legnaia fatta anche questa di tavole e travi di castagno. Lì si conservavano la legna che serviva per scaldarsi o per cucinare. Il tutto nel camino.

Nella legnaia c'erano anche delle specie di contenitori ricavati svuotando un pezzo di tronco di castagno e  un coperchio sempre di castagno in cui venivano conservate le patate e un pò di farina di granturco e di castagne.

Quei contenitori erano necessari per evitare l'assalto dei topi alle vettovaglie. 

L'estate si saliva su, ognuno con un sacco in cui si portava quello che doveva servire per almeno 4 mesi anche perchè in paese si scendeva solo in caso di estrema necessità.

Il sale, un pò d'olio, qualche fiasco di vino, un pò di biancheria, qualche asciugamano di tela di canapa, un paio di camice e un paio di pantaloni oltre a quelli indossati, e gli scarponi che avevamo già a i piedi. Niente ciabatte, accappatoi, shampoo...

Si partiva dal paese con le altre famiglie e sembravamo una lunga fila di sfollati dalla guerra ma il clima era diverso, qualcuno cantava e rendeva allegra la comagnia.

Per arrivare c'era da fare 5/6 chilometri in salita sul sentiero nel bosco poi si usciva dal bosco e si apriva lo scenario dei campi coltivati e del mare lontano.

Si andava ognuno nella propria casetta e inziavano le nostre vacanze. Mentre gli uomini andavano a lavorare le donne e i figli lavoravano i campi, accudivano i greggi portandoli fuori al pascolo, chi andava e prendere l'acqua e quel luogo diventava un piccolo paese.

La domenica ci si radunava, verso le 11 davanti alla marginetta e le donne dicevano il rosario mentre gli uomini lavoravano i campi.

A mezzogiorno, ogni giorno, si mangiava o gli avanzi della sera prima, polenta o minestroni oppure pane e formaggio. La sera a volte si cuocevano le patate sotto la cenere, in attesa del minestrone che bolliva nel paiolo nel camino.

Solo la domenica c'era un pò di carne, pollo o coniglio. E la sera della domenica si facevano i necci di farina di castagne con la ricotta.

Le giornate per noi ragazzi, quando non aiutavamo mamme e nonne, erano scandite da lunghe passeggiate nel bosco dove magari si costruivano piccole capanne di frasche e si fantasticavano storie. 

Si giocava a nascondino oppure nel piccolo prato, l'unico non coltivato, davanti alla marginetta si giocava alla lippa o a saltare la corda.

Nelle lunghe sere d'estate in cui la notte arriva tardi a volte ci si radunava fuori di casa seduti in terra davanti a un piccolo falò e qualcuno iniziava a raccontare le fole ( favole) poi tutti a letto.

Io dormivo insieme ai miei due cuginetti nel fienile, su dei teli stesi sul fieno. Mia nonna con mio nonno dormivano in cucina su un pagliericcio pieno di foglie secche di granturco dopo aver spostato il piccolo tavolo e spento le candele sulla mensola del camino.

E mentre mangiavo, un chicco alla volta, l'uva fragola che avevo preso dalla pergola fuori casa la luce della luna filtrava dalle imposte di legno, e sentivo la civetta cantare. 

Ma la cosa che ricordo come se fosse oggi è l'odore del fieno e le mille lucciole che ballavano nel fienile.

Poi ti si chiudevano gli occhi e sognavi ...

----

Questa notte di lucciole, pei silenzi odorosi
del fieno e del grano, sanno di fresco di luna
le rugiade sull’erba…

(Elpidio Ienco)