Lo chiamavano Pietroduro, non tanto perché fosse duro di comprendonio, ma perché fin da quand'era piccolo, nessuno era riuscito a fargli fare qualcosa che a lui non piaceva. Anche quella mattina Arturo, che era il capo - cava di quei sette operai cercava di convincerlo a mettersi il casco prima di salire in tecchia, così come stabilivano le nuove leggi di sicurezza.
"Mettiti quel casco, che se succede qualcosa ne vado di mezzo io " Gli diceva Arturo.
"Noe!!" gli rispondeva Pietroduro "Io quella pentola lì in testa non mi ce la metto, un mi vorrai mia fa coce il cervello con questo sole? Piuttosto mi ripiglio la giacchetta e vado a casa!!"
"Quanto a cervello, non c'è pericolo perché in quella testa lì un ce n'è mai passato". Disse Ugo ,magro ,lungo e pelato che stava appoggiato ad un blocco di marmo con una sigaretta messa di traverso, ed aveva smesso di lavorare per ascoltare i due.
Pietroduro gli rispose con un gestaccio, poi si rivolse verso il capo e gli disse:
"Quest'altro giovedì venghino in cava quelli dell'assicurazione a fa un controllo a "sorpresa" sulla sicurezza, quando Arma' va a prenderli con il motocarro, vol dire che me lo metto tanto che ci stanno loro."
"Va via testone duro, fa come ti pare" gli disse Arturo.
Ma si vede che a ciò ch'è scritto nessuno scappa e Pietroduro colto in piena testa da un sasso, rimase lassù a mezza tecchia penzoloni come un ragno .
Mai in paese s'era vista una vedova disperarsi tanto e così a lungo come quella di Pietroduro.
Una settimana dopo la sepoltura, in cava , durante la colazione, gli uomini erano seduti in baracca ed Arturo disse:
" O ragazzi ci sarà da fare una colletta per la famiglia di Pietro "
Ma gli uomini non risposero e qualcuno abbassò lo sguardo; erano tempi duri e "la mesata" non era mai sicura.
Arturo si rivolse nuovamente agli uomini:" Sapete che si fa? S'attacca un tascapane al chiodo, qui in baracca e questi giorni ognuno mette quello che può, magari si dice anche a quelli della cava vicina...
Poi sabato si porta tutto a Gioele, il su fratello, perché io a portalli alla Rosalba un me la sento; un c'ho il coraggio!"
E così rimasero tutti d'accordo.
Gioele, fratello di Pietroduro, e sua moglie Ida erano preoccupati perché la cognata tutte le sere andava al cimitero e tornava a casa che faceva notte, temevano che commettesse qualcosa d'irreparabile, così decisero di seguirla di nascosto.
Quando la Rosalba chiuse la porta e si avviò fuori paese per la mulattiera che conduce al cimitero sulla collina, loro la seguirono.
Il cancello del cimitero non veniva mai chiuso tanto a cosa sarebbe servito? chi stava fuori, la notte non aveva alcuna voglia di entrarvi e chi vi stava dentro non ne usciva.
Gioele e la moglie videro la Rosalba che metteva nel vaso qualche fiore senza mettere l'acqua, eppure come ogni sera, uscendo di casa aveva preso anche una bottiglietta d'acqua.
La vedova prese subito la via del ritorno verso casa ma quando arrivò a metà strada, si diresse verso i campi e lì c'era qualcuno che l'attendeva e non per fare dei discorsi.
Mentre la moglie di Gioele si faceva un segno di croce dietro l'altro, il marito gli faceva segno di stare zitta che voleva riconoscere l'uomo.
I due, poi si misero a parlare e la Rosalba tirò fuori dalla tasca un pacchetto di tabacco e le cartine che dette all'amante, gli porse pure la bottiglia che certo non conteneva l'acqua per i fiori.
Gioele, gattonando s'era avvicinato e nascosto da un cespuglio, se non vedeva chiaramente la faccia riconobbe però a chi apparteneva la voce.
Il sabato sera Arturo con Stioppo andarono a casa di Gioele portando con se quel poco di soldi che quasi di nascosto gli uni dagli altri, avevano messo nel tascapane.
I due un poco si scusarono per la piccola somma raccolta e fu a quel punto che Gioele disse: "Sapete?! Avevo deciso di non parlarne con nessuno, ma adesso devo dirlo, perché quei soldi lì a coscienza non li poso portà' alla mi' cognata che c'ha un omo ed a quello che ho capito è un bel po' di tempo che mettea di mezzo il mi' fratello...
E' più giusto che ognuno si ripigli quello che è suo e che non vada a finire in vino e tabacco per quello lì, che lavora nelle cave dell'Altissimo e riscote tutti i mesi".
Ridare a ciascuno ciò che aveva versato non era cosa facile, qualcuno si sarebbe vergognato a dire quanto poco aveva messo nel tascapane.
Fu cosi che gli uomini, su consiglio di Arturo decisero di farci una cena al baretto del paese.
Quella sera, tra un bicchiere e l'altro, mangiando polenta e baccalà andavano avanti con: " Ti ricordi quella volta che Pietroduro......."
" Altro che se me lo ricordo! Di duri così un ne rinasce...pero che core grande che aveva! "
E così via discorrendo.
Nessun altro in paese fu mai commemorato con tanto affetto e simpatia, e perché no, anche con gratitudine per quella cena.
"Qualcuno mi ha raccontato la deliziosa storia del crociato che ha messo una cintura di castità alla moglie e ha dato la chiave al suo migliore amico, per custodirla in caso di morte. Stava cavalcando da poche miglia, quando il suo amico, galoppando velocemente, lo raggiunse dicendo: “Mi hai dato la chiave sbagliata!”
(Anaïs Nin)
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