Nel 1987 ho costruito un carro allegorico, uno dei pochi non di satira, dal titolo "Carnevale nettare della Pace". Quel carro, oltre a vincere il primo premio nella categira dei carri di seconda categoria ha sfilato, in quell'estate, nel carnevale de l'Habana.
A una delle sfilate dei carri a Viareggio, nel febbraio del 1987, aveva assistito il console cubano di Milano e l'organizzazione del Carnevale e il comune di viareggio aveva instaurato un rapporto di gemellaggio tra carnevali, in particolare quello che si tiene tutti gli anni a luglio a l'Habana.
L'idea era quella di inviare un carro a Cuba e di farlo sfilare in quell'occasione. Tra i tanti carri di quell'anno il mio fu scelto dal Console forse perchè era uno dei pochi non di satira politica (tra l'altro principalmente italiana) ma trattava un tema universale come quello della pace.
Finito il Carnevale iniziammo a smontare il carro pezzo dopo pezzo. Avevo inviato a chi ci avrebbe aiutato nel rimontaggio a l'Havana disegni costruttivi della piattaforma e le indicazioni tecniche per facilitare il lavoro.
Ai primi di maggio spedito via mare in quattro container su un mercantile che faceva la rotta Genova, Barcellona, Santiago de Cuba.
Con me sarebbe venuto Massimo che al tempo era uno dei collaboratori e oggi è un costruttore affermato. Partimmo in aereo i primi di giugno da Milano e saremmo rimasti due mesi a l'Habana.
Massimo non aveva mai volato ed era preoccupatissimo. Il volo non era diretto, causa restrizioni americane, e l'aereo avrebbe fatto scalo nell'isola di Terranova per il rifornimento poi diretto all'aereporto Josè Martì a l'Habana.
Era un aereo non proprio moderno della Cubana de Aviación e come benvenuto a bordo ci didero due caramelle alla menta.
L'atterraggio a Terranova fu epico... Una pista cortissima, il pilota che fa due o tre giri per prendere la misura, Massimo terrorizzato aggrappato alla poltrona con la hostess che gli diceva "No tenga miedo señor... " sorridendo e lui che rispondeva "Medio una sega!!"
La frenata provocò l'apertura di tutti gli sportelli sopra le poltrone e la caduta di qualche zainetto di turisti italiani Valtur.
Ci fecero scendere dandoci una coperta per uno. Non si capiva il perchè visto che da Milano eravamo partiti con un caldo bestiale e in maniche corte. Ma arrivati allo sportello un'aria polare ci investì.
Sulla pista in fila indiana imbacuccati con le coperte sembravamo i militari italiani in ritirata sul Don. Per fortuna dentro l'aereoporto era caldo e c'era un piccolo buffet con thè, caffè e pasticcini.
Ripartimmo dopo un paio d'ore e arrivammo finalmente a Cuba che era quasi notte. l'hostess ci disse di aspettare e fecero scendere tutti gli altri. Massimo era agitato e non capiva il perchè.
Poi ci fecero scendere e in fondo alla scaletta c'era una specie di comitato di accoglienza. Il ministro della cultura cubano, un paio di funzionari, quello che sarebbe stato il nostro interprete e due ragazze con un mazzo di fiori per uno.
Strette di mano, saluti e ci avviammo a piedi verso una saletta riservata mentre Massimo non perdeva d'occhio le due cubane.
Nella saletta c'era un piccolo rinfresco e altre persone. Io avevo degli omaggi da parte del Comune di Viareggio e li consegnai ai cubani.
Il nostro albergo era il Presidente a due passi dal Malecon sul mare. Il cantiere dove dovevamo assemblare il carro era sul piazzale del Castillo de San Salvador de La Punta sul canale di entrata del porto de l'Habana.
Un giorno ho contato 75 mercantili battenti bandiera sovietica in entrata. Il nostro mercantile con i container invece arrivava a Santiago de Cuba, quindi dall'altra parte dell'isola, poi ce li portarono con i camion.
Avevamo un autista con una Lada-Vaz Ziguli grigia sempre a disposizione. Si chiamava Ubalerico e aveva fatto la Sierra Maestra con Fidel. Volle portarci a conoscere la sua famiglia e ci fece vedere le foto di quei giorni.
Lavoravamo al'aperto, dalla mattina presto (dalle sei in poi) poi a mezzogiorno mangiavamo, quasi sempre frutta, e si faceva una pausa fino alle tre per evitarci colpi di sole. Con me e Massimo ad aiutarci a riassemblare il carro lavoravano anche 8 cubani.
Massimo a quel tempo aveva una cesta di capelli riccioli biondi lunghi fino alle spalle e un paio di tatuaggi sulle braccia e i cubani lo chiamavano El Bucanero.
Avevano già preparato, seguendo i disegni che gli avevo mandato, il pianale su cui avremmo riposizionato il carro. Erano fantastici, e nonostante non parlassero una parola di italiano e noi poche di spagnolo ci intendevamo alla perfezione.
Uno di loro, che si chiamava Isidoro, era alto, nero come il carbone e una risata travolgente. Era quello che risolveva qualsiasi problema, che provvedeva ai rifornimenti di frutta e acqua. C'era una specie di cisterna dove mettevano l'acqua da bere e qualche stanga di ghiaccio.
Dissi a Massimo di evitare di berla se non voleva passare la notte sul cesso. Eravamo vicinissimi al museo de la Revolucion, dove all'esterno, c'è il Granma, la barca che portò i barbudos e Fidel.
Vicino c'era una specie di negozio senza mercanzia, un lungo bancone di pietra e tre fontanelle con acqua corrente.
Ti mettevi in fila, e a Cuba la fila era la regola e non ci sono i furbetti, e dietro al bancone c'erano gli addetti che ti davano un bicchiere, di vetro, con acqua fresca. Gratis.
Una specie di fontanelle pubbliche ma al coperto e con servizio. Quando avevamo sete andavamo lì per evitare dissenterie indesiderate.
La sera tornavamo in albergo e poi si usciva con Ubalerico e andavamo sul Malecon, il viale a mare de l'Habana, a mangiare qualcosa e a prendere un gelato a Coppelia, una gelateria in un parco frequentata sopratutto da cubani.
Oppure in un piccolo bar fuori dalla ressa turistica dove ho bevuto il miglior mojito della mia vita, quella hierba buena che non è la nostra menta...
Massimo, pur essendo nato a Viareggio, non mangia pesce e non beve alcolici. Ora una delle cose che a l'Havana e cmq a Cuba si trova facilmente è il pesce.
Quindi lui, per tutto il tempo che siamo stati lì, ha mangiato panini al prosciutto cotto o, al massimo pezzi di pollo fritto annaffiati da acqua o spremute.
Io e Ubalerico invece mangiavamo aragoste che non costavano quasi nulla. Poi gigantesche macedonie di frutta tropicale. E rum... come se piovesse, e come in ogni casa cubana, il "cispes de tren" una specie di benzina avio che ti apre in due.
Il carnevale all'Habana si svolge il tutti i sabati e le domeniche sera. Di sera perchè il caldo non consentirebbe di farlo di pomeriggio. La sfilata partiva dal Castillo, dove c'era il nostro cantiere, e sfila lungo tutto il Malecon, che costeggia l'oceano.
La sfilata finiva poco dopo il parco Antonio Maceo, quasi davanti a quella che allora era la delegazione americana oggi ambasciata.
I carri cubani erano non molto grandi, quasi delle piattaforme con sopra piccole orchestrine e davanti scuole di salsa dell'Habana e anche da altre città dell'isola.
Sulle piattaforme realizzavano delle scenografie fatte di fili di ferro ricoperti da una specie di collant colorati. Quindi piccole foreste tropicali, pappagalli, e altri animali. Tutte le figure erano contornate da piccole lampade alimentate da batterie.
Lo spettacolo era affascinante e coinvolgente. Il malecon era affollatissimo. Ogni quattro/cinquecento metri c'era un baracchino che vendeva panini al prosciutto e frutta tropicale. Tanta acqua, poca birra ma rum a damigiane.
Il 26 luglio è festa nazionale a Cuba, l'anniversario dell'assalto alla caserma Moncada il 26 luglio del 1953, e noi saremmo ripartiti il 28 per l'Italia.
Abbbiamo vissuto insieme a Ubalerico e la sua famiglia quel giorno. Siamo stati a casa loro a pranzo poi siamo andati in Plaza de la Revolution ad ascoltare il discorso di Fidel.
Sul palazzo quell'imagine iconica del Che fatta di tubi di ferro e il silenzio di quella piazza che ascolta il lider maximo e che si scioglie in un lunghissimo applauso e sventolio di bandiere dopo tre ore di discorso.
Quello che mi ricordo bene è la dignità dei cubani, la loro capacità di sorridere sempre alla vita anche nelle avversità e la loro accoglienza che ti fa sentire come uno di famiglia, il loro amore per la loro patria... "O patria o muerte" c'era scritto su un grande cartellone sul Malecon.
Sono molti gli episodi che abbiamo vissuto in quei due mesi come la gita a Varadero con Ubalerico e la Ziguli e la scazzottata mia e di Massimo con dei pirla razzisti milanesi.
L'auto del Che, quei 20 pesos che ho sempre con me come un portafortuna con la faccia di Camilo Cienfuegos, il Floridita e la Boteguita, El Tropicana, i sigari fatti a mano nella strada e le sigarette Popular.
La zona delle ambasciate con quella italiana che sembrava un villino abusivo a Ostia e quella sovietica gigantesca con una torre quadrata su cui spiccava il simbolo dell'Urss e sulla sommità antenne e parabole che secondo me sentivano anche gli starnuti di Reagan.
I granchi catturati con Ubalerico sulla strada di Matanzas e cucinati sul mare a Playa Jibacoba o quando siamo stati invitati a una festa in una casa di ragazzi e ragazze cubane e il ventilatore era un'elica di un Cesna.
Ma magari ve le racconterò in un altra piccola storia...
Cuba, ¡qué linda es Cuba!
Quien la defiende la quiero mas...