domenica 14 giugno 2020

Genzianella

Si chiamava Genziana come la pianta dai fiori gialli o blu che cresce spontanea su quei monti. Quel nome glielo aveva messo sua nonna.
 Sua nonna la conoscevano tutti come la "Santina" ma in realtà si chiamava Angiola ed era quella che in paese, toglieva il malocchio o preparava infusi e tisane per alleviare ogni dolore.

La Genziana era nata una fredda sera di gennaio del 1955 e proprio la Santina aveva aiutato sua madre a partorire perchè abitavano in una casa un pò lontana dal paese e la neve caduta in abbondanza aveva impedito all'ostetrica di arrivare.

Crescendo iniziarono a chiamarla in casa e fuori Genzianella. Forse perchè era piccola, minuta. Dava quasi l'impressione di spezzarsi quando tirava la tramontana.

Andava con sua nonna nei prati e nei boschi e lei gli insegnava tutte le erbe e i fiori e le proprietà di ognuno. Le raccoglievano, tornavano a casa, le facevano seccare al sole  poi preparavano decotti e tisane.

I paesani si fidavano della Santina e molti pria di andare dal medico condotto si rivolgevano a lei per ogni malanno, dall'influenza alla gastrite.

E com'è come non è le erbe della Santina funzionavano forse per suggestione o forse davvero perchè erano miracolose.

In cambio non voleva soldi ma qualche uovo, una gallina, un pò di fornaggio. D'altronde non era un paese di benestanti ma di cavatori, boscaioli e contadini.

Genzianella fece le elementari poi non andò più a scuola. Quando aveva sedici anni perse sua madre per un brutto male che nemmeno le erbe della Santina riuscirono a sconfiggere.

Suo padre visse ancora qualche anno prima di rimanere vittima di un incidente mortale in cava. E così Genzianella rimase da sola con la nonna.

Abitavano in una casa in mezzo al bosco, un pò fuori dal paese e le sere d'estate Genzianella andava a piedi scalzi, come faceva quasi sempre, a rincorrere le lucciole nei prati.

Non parlava molto ma aveva una bella voce e le piaceva cantare. E le canzoni le inventava lei o cantava vecchie filastrocche o proverbi.

Ogni tanto saliva su una pianta di noce vicino a casa e cantava: "Uccello in gabbia non canta per amore canta per rabbia..."

Sembrava che fosse lei che si sentiva in gabbia ma non era così. Quella vita le piaceva, era il suo mondo, e lei, in fondo, era un pò selvatica come quelle erbe magiche che crescevano spontanee e anarchiche.

Quando morì sua nonna non andò nemmeno al funerale. Rimase arrampicata sul noce per un paio di giorni, notte e giorno. E ogni tanto si sentiva il suo canto: "La Santina se n'è andata e Genzianella è arrabbiata... "

Poi scese dal noce e ricominciò a raccogliere erbe e a fare decotti. I paesani andavano da lei come avevano sempre fatto con sua nonna. 

Dopo qualche anno una donna del paese che soffriva di stomaco e che trovava sollievo in una tisana che gli preparava Genzianella andò a cercarla a casa ma non la trovò.

Poi vide qualcosa appeso tra i rami della grande noce di fianco alla casa. Un fagottino bianco mosso dal vento. Era Genzianella.

Si era impiccata a quel noce che forse, per lei, era il suo rifugio e il suo sollievo nei momenti di dolore. Si era vestita di bianco che, come disse qualcuno dopo, era il vestito da sposa di sua madre.

La deposero dal noce e la ricomposero nella piccola stanza da letto della sua casa. Qualcuno le aveva messo in una mano un fiore di genziana e sparso petali di rose gialle su di lei.

La vegliarono tutta la notte. C'era tutto il paese, avevano portato ognuno una candela e le avevano accese posandole poi sotto il noce. E per una notte quelle piccole fiammelle sembravano tante lucciole per lei.

Poi si erano inginocchiati, per tutta la notte, in silenzio, guardando tutti verso la piccola luce della stanza dove Genzianella riposava per l'ultima volta.


"Balla come se nessuno stesse guardando,
ama come se nessuno ti avesse mai ferito,
canta come se nessuno stesse ascoltando,
vivi come se il paradiso fosse sulla terra."
(William W. Purkey)