Ombre di fiamma giocavano sulle pareti in pietra, prive d'intonaco, della cucina dal basso soffitto sorretto da grosse travi di castagno. Alfredo, seduto di fronte al grande camino in pietra, che occupava quasi tutta la parete della cucina, teneva sulle ginocchia una scodella con la sua cena. Alle pareti, subito al disotto delle travi pendevano mazzi di fiori di carta dai colori ormai sbiaditi e coperti di polvere, verso i quali Alfredo ogni tanto alzava lo sguardo.
Tutta la casa era piena di questi fiori: i fiori dell'Almina.
Lui l'aveva conosciuta una sera d'inverno quando in un salone del paese si ballava.
Alfredo era un uomo forte,di lui si diceva "come un cavallo da tiro", era sulla quarantina, alto, robusto e di capelli rossicci, in paese era l'unico uomo di quell'età a non essere sposato.
Era tipo di poche parole, piuttosto solitario e come tutti gli uomini del paese anch' egli lavorava in una cava di marmo.
L'aveva cresciuto una zia, sorella della madre e senza figli propri perché il padre rimasto vedovo s'era rifatto una famiglia. La zia materna oltre a crescerlo l'aveva lasciato erede delle proprie terre e della casa.
Entrò Alfredo quella sera nella sala dove stavano ballando e l'unica ragazza seduta, accanto alla madre, vicino alla parete con le mani abbandonate in grembo era l'Almina.
E furono quelle mani così piccole e bianche che gli fecero sentire immediato il desiderio di toccarle, di tenerle tra le sue.
Era venuta l'Almina, con la madre e le sorelle da un paese vicino, avevano camminato lungo la mulattiera illuminando il percorso con una lanterna che ora stava lì, appoggiata sul pavimento vicino ai piedi della madre.
Fin dall'adolescenza altre donne gli avevano incantato gli occhi e i sensi ma l'Almina era riuscita ad incantargli il cuore, l'aveva preso nelle sue mani come un passero caduto dal nido guarendolo da fonde incrinature.
Tanti, in paese si chiesero come mai Alfredo considerato da tante ragazze " un buon partito" e che avrebbero voluto come marito avesse scelto proprio l'Almina, che era si una donnina graziosa ma tanto fragile con problemi di cuore fin dalla nascita.
Una ragazza che non era in grado di faticare, di lavorare nei campi, fare e crescere figli, sorte comune a tutte le donne di allora.
Quella coppia sembrava che non avesse nulla in comune, l'uno era l'opposto dell'altra, lei minuta, fragile che si stancava facilmente, lui era forte, un lavoratore instancabile.
Ma in realtà erano come un unico essere inseparabile, lui ne era il corpo e lei l'anima.
Quando ad Alfredo capitava di scendere a valle ritornava portando ad Almina fogli di carta velina colorata e lei lo abbracciava felice come avesse ricevuto il più prezioso dei doni.
Sapeva, con la carta, fare ogni tipo di fiore.
"Indovina cosa t'ho portato "le diceva Alfredo." Fammi vedere, fammi vedere " Gli diceva l'Almina, curiosa e girandogli attorno, esile e leggera come una pallida farfalla.
"Oggi t'ho portato carta rossa per i papaveri e bianca per le margherite e c'è anche quella azzurra per le genziane, come quelle che fioriscono vicino al torrente."
Ma per Alfredo il piacere più segreto, quello che non avrebbe mai confessato, era ascoltare l'Almina, ascoltare le sue storie ,vere ed inventate.
La sera a letto lei gli si rannicchiava accanto e iniziava a raccontare; erano storie di paese, tramandate dai vecchi, altre volte erano di pura fantasia, storie che l'Almina s'inventava ogni volta, sempre diverse; era un gioco, un tornar bambini.
"Questa no, questa non può esser vera, di la verità te la sei inventata " diceva lui ... "No, no ti giuro, è tutta vera." diceva l'Almina ridendo... "Dai dimmi la verità o ti faccio il solletico "no, il solletico no.. "
Davanti alla loro casa c'era una piazza ombreggiata da un pergolato d'uva fragola, dopo aver sposato l'Almina, Alfredo aveva sacrificato una di quelle vecchie viti per piantarvi una rosa bianca rampicante ed ora anche lei faceva parte del pergolato.
In quel mese di maggio, dopo aver lavorato in cava, verso sera, lui andava a lavorare nei campi lei si sedeva sotto il pergolato e aspettava il suo ritorno.
Ma una sera Alfredo al suo rientro vide che l'Almina non si alzava per andargli incontro, su di lei
c'erano tanti petali bianchi caduti sui suoi capelli e sulle sue mani che ancora stringevano l'ultimo fiore di carta velina, era un garofano rosa non ancora terminato.
Con il tempo, lentamente, Alfredo aveva ripreso la vita di sempre in lui convivevano il dolore e la dolcezza dei ricordi.
Ogni tanto pensava anche alle donne, sapeva che poteva ancora farsi una famiglia, anche la sorella più piccola dell' Almina gli aveva fatto capire che come uomo non le dispiaceva ma Alfredo nella sua casa non voleva più nessun altra donna.
Tutte le cose dell'Almina erano rimaste così come lei le aveva lasciate ed a nessuno avrebbe permesso di toccarle.
Non l'aveva permesso nemmeno alla sorelle della moglie quando dopo tre mesi erano venute a reclamare il corredo della sorella e i pochi oggetti personali come era in uso quando non c'erano figli.
Ma Alfredo non aveva inteso ragione, aveva rimandato a casa le cognate dandogli in cambio, di ciò che reclamavano, formaggi e farina con la promessa di dargli pure un capretto al prossimo Natale, cosa che fu accettata volentieri perché le cose dell'Almina non avevano un gran valore se non per lui.
Riprese lentamente a mangiare dalla scodella mentre la fiamma nel camino illuminava quei fiori che, per lui, erano ancora splendenti di colore.