sabato 14 novembre 2020

Lupo mannaro


La luna piena e la notte silenziosa, chi conosce la verità si nasconde per proteggersi, chi la ignora sarà la prossima preda. 
Una maledizione, la luna piena, il terrore, una trasformazione.  
Il licantropo, dal greco lycos, lupo, e anthropos, uomo, è da sempre uno degli spauracchi più temuti, oggi solo nella finzione cinematografica, nei secoli passati invece da intere popolazioni. 

Sicuramente, i borghi di montagna, i villaggi lontani dalla civiltà, i piccoli agglomerati abitativi detengono, ancora oggi, dei forti marcatori della storia dei lupi mannari. 

Nell’immaginario collettivo è sicuramente la luna piena grande protagonista di questi episodi narrati. E’ proprio la luna che scatena la trasformazione del lupo mannaro, un uomo diventa lupo. 

Sin dal medioevo, questa leggenda arrecava paura e terrore. Presumibilmente questi racconti possono attingere immaginazione anche da patologia cliniche: come l’ipertricosi o la licantropria. 

Ci sono diverse condizioni mediche che, presumibilmente, hanno contribuito alla creazione di queste creature: la licantropia clinica (convinzione di una persona di essere un animale), oppure l’ipertricosi (la crescita esponenziale di peli su tutto il corpo). 

Secondo le leggende, gli attacchi del lupo mannaro avvenivano nei pressi delle abitazioni. Con un ululato anticipava le incursioni alla ricerca delle sue vittime, che divorava in pochi minuti. 

Narra un racconto medievale che, una pattuglia di soldati romani, dislocati per controllare il legname, utilizzato nelle guerre Puniche, venne attaccato da un lupo mannaro. 

Secondo il diario militare nessun soldato riuscì a sopravvivere. Vennero ritrovati dopo qualche giorno, solo le armi, sporche di sangue, della pattuglia militare. 

Realtà? Fiaba? Una storia “scritta” dai romani per arrecare paura? Non è dato saperlo…. 

Le origini delle credenze che gli uomini possano mutarsi in animali, quasi sempre pericolosi e temuti, risalgono alla notte dei tempi e, per la verità, non fanno riferimento soltanto al lupo. 

Di solito, si riferiscono all’animale predatore più diffuso nelle diverse aree geografiche. Lupi, nelle zone dell’Europa del Nord, Orsi o puma nella Americhe, tigri e giaguari in Africa. 

Probabilmente, queste credenze risalgono sia alla mitologia, con gli dei che trasformavano in animali (la maga Circe era solita trasformare le sue vittime maschili in maiali, come noto) sia ai pericoli della vita reale nei tempi antichi.

Catturare e uccidere un feroce predatore che faceva strage nei villaggi, veniva considerata un’impresa di grande valore. 

Il guerriero che ci riusciva era solito cibarsi delle carni dell’animale ucciso e indossarne le pelli, per ottenere la stesa forza e incutere più timore ai propri nemici. 

Dal punto di vista storico, invece, pare siano state diverse decine di migliaia le persone che si credevano o erano credute essere licantropi. 

A quei tempi, però, non si andava troppo per il sottile e tra il 1500 ed il 1600 le cronache dell’inquisizione raccontano di 30.000 presunti lupi mannari mandati al rogo dalla Santa Inquisizione francese in quanto considerati figli del demonio.

Alcuni villaggi, fortificati, conservano il ricordo di questi avvenimenti pregni di terrore e quella che segue è una delle tante storie sui lupi mannari.

La leggenda del lupo mannaro si diffonde nel borgo del Piagnaro nell’Ottocento. Piagnaro è il nome della fortezza che sovrasta Pontremoli a partire dalla sua millenaria fondazione. 

Il borgo del Piagnaro è il gruppo di case in pietra che dal castello scendono fino alla Pontremoli granducale, la “città nobile” dei palazzi settecenteschi. 

All’epoca della leggenda il borgo era il quartiere popolare, il più povero. Le condizioni igienico-sanitarie erano precarie, la gente si arrangiava e si ammalava facilmente. 

In assenza di una vera illuminazione pubblica, dopo il tramonto il borgo era al buio. Il lupomanaio si aggirava qui. 

Sulle montagne attorno a Pontremoli c’erano i lupi. La popolazione ci conviveva, spesso con fatica, sempre con rispetto e timore. Per fare un lupo mannaro, però, oltre al lupo, ci vuole un uomo

Ogni generazione di bambini, e non solo di bambini, per oltre cent’anni ha cercato di capire chi fosse quest’uomo, e per ogni generazione c’era un lupo mannaro, o più di uno.

Una  volta era il fornaio, perché lavorava di notte e perché era un uomo molto brutto, oppure il mite calzolaio che con il buio sfogava la sua repressa indole bestiale. 

Oppure il ragazzo “ritardato”, facile oggetto di scherno. O lo straniero, il diverso di cui si sapeva poco. 

Dicerie. Ma circa 150 anni fa, un uomo, mai identificato, di tanto in tanto viene visto avvicinarsi al borgo. È seminudo, con solo la pelliccia di qualche animale buttata sulle spalle.

Capelli neri, sporchi e molto lunghi. Sempre scalzo. Poi si dice di averlo visto di notte per i “sörcheti” del borgo o sui tetti, e che gli animali trovati morti in giro – galline, pecore, mucche, cani – sono opera sua; ogni rumore notturno a cui non si può dare spiegazione, è lui a produrlo

Se uno non riesce a dormire, è perché lo sente ululare. I bambini lo disegnano con pezzi di carbone sulle pietre della strada. Gli viene dato un nome: “il lupo”. La paura dilaga. 

Si dice di non uscire la notte con la luna piena e, se lo incontri, devi precipitarti a salire più di tre scalini, perché lui non riesce a salirne più di tre. 

Il “lupo” attira a sé i cani randagi, fruga a quattro zampe tra gli avanzi di cibo lasciati qua e là e si rotola nei letamai, forse per alleviare la sua smania. 

Non guardarlo mai negli occhi: o muori di paura sul colpo, oppure ti aggredisce e ti mangia vivo.

Il “lupo”, quel lupo mannaro, sparisce nel nulla come dal nulla era venuto. Qualche mese dopo, una neonata viene lasciata davanti all’uscio di casa di una famiglia del borgo. 

Destino comune di molti figli di madri sole e povere. Ma la bimba non viene consegnata alla ruota degli orfani di un convento, ma a una famiglia. Strano. 

La bimba cresce sana e felice, si sposa poco più che ragazza e partorisce due gemelli. Un maschio e una femmina. 

Il maschio è strano quanto l’origine di sua madre. Ma questa è un’altra storia... o in fondo è la stessa.