lunedì 5 ottobre 2020

Il pane ha sette croste

Come in altri parti d'Italia  tra la fine dell'ottocento e i primi del novecento l'emigrazione era una via di fuga dalla miseria di quei tempi. 
C'era la speranza di farsi una nuova vita laggiù dove erano già emigrati tanti parenti e paesani.

A volte in quelle poche lettere che i parenti rimasti in Italia ricevevano dai parenti emigrati si aveva l'illusione che davvero là, in quelle terre lontane, ci fosse un futuro migliore.

Angelo Abrami originario di Chiozza (Castiglione Garfagnana) fu uno dei tanti garfagnini emigrati nei primi del novecento nelle lontane Americhe.

Angelo raccontava l'inizio della sua avventura, quando il padre si opponeva alla sua partenza.

Una volta ottenuto il consenso gli disse queste parole: "Ricordati che il pane degli altri,come ti ho ripetuto altre volte, ha sette croste. Per guadagnarselo all'estero sarà sicuramente più duro del mio" 

Angelo parti da Vagli nel 1910 a sedici anni con "il corredo necessario per qualche anno", come era nelle sue intenzioni e giusto, giusto prima di partire i genitori con sacrificio fecero un po' di acquisti per lui, ecco qui la spesa di quel tempo:

  • 1 valigia di cartone £ 15
  • 1 sveglia da £ 5
  • 1 paio di scarpe da lavoro £ 10
  • 1 paio di scarpe fine £ 12
  • 1 vestito di cotone da £ 9
  • 1 vestito da lavoro da £ 6
  • 2 paia di pantaloni £ 8
  • 3 paia di calze di lana £ 3
  • 1 asciugamano £ 1,25
  • 2 asciugamano di cotone £ 2,50
  • 2 gravane(n.d.r:forse cravatte, ma non lo so!)£ 2
  • 1 ombrello £ 1,50
  • 3 cappelli da  £ 2, £ 1,20, 90 Cent
  • 4,10 per le spese
Totale £ 79,35

Così si affrontava il viaggio per le lontane Americhe, innanzitutto indebitandosi già in partenza perchè molti garfagnini si rivolgevano già nel lontano 1874 al Banco di Anticipazioni e di Sconto di Castelnuovo si Garfagnana.

Banco che tramite l'ipoteca sui beni terreni della famiglia, si rifaceva pure sui primi salari guadagnati in terra straniera per rientrare del prestito dato e tutto questo per un biglietto di terza classe sul Piroscafo Galileo.

Ecco come raccontava angelo il viaggio: "Il Galileo portava 1600 passeggeri di terza classe, fra i quali più di 400 bambini. 

All'imbarco a Genova passava ogni sorta di persona, operai, contadini, donne con bambini alla mammella, ragazzetti, passavano portando quasi tutti una sedia pieghevole sotto il braccio.

Sacche e valigie di ogni forma alla mano o sul corpo, bracciate di materasse e di coperte e il biglietto con il numero della cuccetta stretto tra le labbra.

Tutti i posti, ogni piccolo anfratto e minimo spazio veniva presto occupato.Le famiglie poi si separavano:gli uomini da una parte, le donne da un'altra e i ragazzi erano condotti nei loro dormitori.

Entrando nei boccaporti infatti ridiscendevamo le scale entrando nelle camerate. 

Le cuccette erano su tre piani, una fila a destra e una a sinistra e nel mezzo un corridoio, mi facevano venire in mente la solita disposizione che davamo alle vacche a casa e la differenza poi non era così tanta. 

Ci venivano date materasse e salva vita di sughero (salvagenti) che ci doveva fare anche da cuscino. 

Al momento del mangiare si formavano squadre da 6 o 8 persone, ci davano un sacchetto di tela con piatti, gamelle (recipiente di latta), posate e bidone di legno per il vino". 

Era piuttosto sulla modalità della distribuzione del cibo che venivano fuori dei parapiglia: i pasti (se così le vogliamo chiamare) venivano affidati ai "capirancio" che di solito erano i più anziani della camerata e questi di solito facevano i furbetti facendo favoritismi o distinzioni al momento della distribuzione.

Il cibo veniva poi consumato nelle cuccette o sul ponte in quanto non vi erano dei refettori. 

Non parliamo poi dell'igiene, nel 1900 la situazione era così descritta da un medico: “L’igiene e la pulizia sono costantemente in contrasto con la speculazione. Manca lo spazio, manca l’aria.

Le cuccette degli emigranti vengono ricavate in due o tre corridoi e ricevono aria per lo più attraverso i boccaporti.

L’altezza minima dei corridoi va da un metro e sessanta centimetri per il primo, partendo dall'alto,a un metro e novanta per il secondo. 

Nei dormitori così allestiti, è frequente l’insorgenza di malattie, specialmente bronchiali e dell’apparato respiratorio e nonchè virus intestinali. 

Per sottolineare la mancanza delle più elementari norme igieniche si può fare riferimento al problema della conservazione e distribuzione dell’acqua potabile che viene tenuta in casse di ferro rivestite di cemento. 

A causa del rollio della nave il cemento tende a sgretolarsi intorbidando l’acqua che,venuta a contatto con il ferro ossidato, assume un colore rosso e viene consumata cosi dagli emigranti non essendo previsti dei distillatori a bordo." 

Ma la voglia di cambiar vita e la speranza di nuove prospettive per i garfagnini era superiore a qualsiasi patimento e bene o male nei 30 giorni (circa) di viaggio.

C'era da passare il tempo in qualche maniera e per i viaggiatori di terza classe come ricorda Abrami i divertimenti erano pochi. 

Si giocava spesso a tombola e quando i banchi di pesce a volte affiancavano la nave davano sorpresa e allegria, specialmente quando i delfini per lunghi tratti accompagnavano il piroscafo.

L'occupazione principale sopra la nave era andare a prendere il cibo, pane e vino mattina e sera e molti addirittura passavano ore a osservare inebetiti lo spartiacque alla prua di bordo. 

Per fortuna che c'era la musica suonata con l'organetto o con la fisarmonica,ed è li che il nostro Angelo Abrami sentì per la prima la conosciutissima "Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar". 

Finalmente poi si arrivava nelle Americhe e qui i poveri garfagnini erano alla mercè dei manigoldi: rapine, raggiri e truffe erano all'ordine del giorno per i nostri emigranti, vissuti sempre nella pur povera ma onesta Garfagnana.

La buonafede, la mancanza di malizia e l'ingenuità era motivo di approfitto anche da parte degli stessi italiani che si erano già insediati da qualche anno e che imbrogliavano senza vergogna chi era appena sbarcato.

Anche perchè c'era una totale mancanza di assistenza da parte del governo italiano, in aiuto perlomeno c'erano alcune società caritatevoli cattoliche per inserire questa povera gente.

Ma l'inserimento sociale non era per niente facile e uno degli scogli più grandi era la lingua. 

Ecco un simpatico vocabolario di un emigrante di Cerretoli che si era annotato alcune frasi:
 
Inglese:Ianmen, ai nide bai santin ciu it, iu uil scio mi becher sciop 

Italiano:Giovinotto, io abbisogno di comprare qualche cosa da mangiare, voi volete mostrarmi il negozio del panettiere. 

Inglese:Oraite tenchiu veri macci 

Italiano:Va bene vi ringrazio tanto. 

Inglese:Boos pliis ghimmi tuu loff brede, tuu sardine chen, tuenti sensi bolon, ten sensi ciis, uan borla uaine 

Italiano:Padrone favoritemi due pani, due scatole di sardine,venti centesimi di salame, dieci centesimi di formaggio, una bottiglia vino. 

Angelo Abrami finalmente raggiunse in Brasile il fratello Amos, già lì da alcuni anni e impiegato come factotum nel ristorante albergo dello zio Angelo Guazzelli fratello della madre. 

Così infatti andava, era una continua catena, parente chiamava parente e la Garfagnana di fatto si svuotava. 

E a chi rimaneva arrivava qualche lettera dalle lontane americhe con un italiano misto a dialetto a volte deformato dalle lingue di adozione.

"Siamo sempre lo straniero di qualcun altro. Imparare a vivere insieme è lottare contro il razzismo."
(Tahar Ben Jelloun)